Sulle tracce dello Squartatore

Sono almeno quattro i casi famosi, e molti quelli minori, su cui Arthur Conan Doyle, padre di Sherlock Holmes, fu interpellato dalle autorità o dai parenti delle vittime, dando prova di essere un detective all’altezza della sua creatura. Quando venne ascoltato per i delitti irrisolti di Jack lo Squartatore, l’assassino di prostitute che imperversò nell’East End londinese nell’autunno del 1888, Doyle teorizzò che il colpevole fosse un macellaio o un chirurgo, per il tipo di ferite inferte, e che si avvicinasse alle vittime travestito da donna (fatto confermato poi da alcuni indizi). Il suo intervento più importante, ai primi del ’900, fu però quello nel caso di George Edalji, un anglo-indiano accusato ingiustamente di aver compiuto una serie di incursioni notturne per uccidere e mutilare cavalli nelle fattorie del villaggio di Great Wyrley. Le prove erano labili ma Edalji venne condannato ai lavori forzati. Doyle dimostrò che da anni la sua famiglia era colpita da accuse razziste e che le lettere anonime che incolpavano Edalji erano state scritte da quei medesimi persecutori (la vicenda è narrata dettagliatamente in Arthur & George di Julian Barnes, Einaudi, pagg. 436, euro 19,50).

Intervenne anche quando, nel 1926, la scrittrice Agatha Christie scomparve misteriosamente. Doyle si rivolse a un medium che disse che la Christie era viva (in effetti lo era e stava scappando dal marito). Venne consultato anche per il caso di Sacco e Vanzetti ma questo non cambiò il destino dei due italiani.

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