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Super Bowl, la settimana del caos

Conferenze-stampa fiume, palinsesti tv rivoluzionati, proliferare di souvenir falsi Ecco come l’America si prepara alla sfida tra Chicago Bears e Indianapolis Colts

Gli annunci, il calendario e gli spot Tv parlano di domenica 4 febbraio, ma il Super Bowl è già iniziato. Ieri, per la precisione. Perché di Super Bowl ce ne sono due, la partita e la settimana che la precede, e non è detto che per i protagonisti la prima sia più faticosa della seconda, che si apre con l'arrivo delle squadre nel luogo dove si disputa la gara, Miami: i Chicago Bears, atterrati domenica al Miami International Airport, hanno trovato subito, da protocollo, i primi giornalisti e fotografi in un settore riservato del terminal. Questa sera tocca agli Indianapolis Colts, al vicino aeroporto di Fort Lauderdale. Il programma prevede, fino al venerdì, una serrata serie di incontri con i media secondo una procedura che la Nfl ha creato ormai da decenni e che poco a poco è filtrata anche alle altre grandi manifestazioni internazionali, come i Mondiali di calcio. Ma quel che ne consegue è che i giocatori, impegnati a memorizzare le continue lezioni di tattica, devono anche avere l'elasticità di incontrare la stampa e sbrigare mille incombenze, tra cui i dettagli logistici. Alcune squadre, le più smaliziate, in passato hanno preferito liberare i giocatori da compiti del genere nella prima settimana dopo le semifinali, per permettere loro di pensare esclusivamente alla preparazione tattica - e agli inevitabili incontri con i media - nei sette giorni che precedono la partita, ma negli anni in cui tra finali di conference e Super Bowl c'era solo una settimana, scoppiava il caos, con giocatori esausti che si addormentavano nell'enorme salone interviste.
Figuriamoci cosa accadrà poi in una settimana come questa, in cui la peculiarità di avere al Super Bowl non uno, ma addirittura due head coach di colore ha già fatto aprire le chiuse di un fiume di retorica. Lovie Smith, dei Chicago Bears, e Tony Dungy, degli Indianapolis Colts, oltretutto amici dai tempi in cui lavoravano insieme nello staff dei Tampa Bay Buccaneers, già da domenica scorsa, sono stati portati ad esempio nelle scuole, segnalati ai giovani il cui più vicino modello di persona di successo è lo spacciatore e identificati come portatori di un messaggio sano di uguaglianza. Peccato che ad ognuno di loro interessi soprattutto preparare la partita nel miglior modo possibile, per evitare che il proprio nome resti solo la risposta ad un quiz del futuro: come il golfista Tiger Woods, Smith, paradossalmente, viene visto con maggiore scetticismo da alcune sezioni della comunità nera perché ha sposato una donna bianca, mentre Dungy, avendo superato con immensa dignità il dolore del suicidio di un figlio poco più di dodici mesi fa e innumerevoli accuse di non avere il polso giusto nelle partite decisive, è una figura pubblica più stoica del collega, e sarà ancora più al centro della curiosità, persino in una settimana in cui l'attenzione dei tremila giornalisti presenti avrà mille cancelli in cui entrare: devi proprio essere privo di fantasia se non sai di cosa parlare ad un avvenimento in cui ti propongono persino una conferenza stampa sulle modalità di riconoscimento dei souvenir contraffatti. Anche se c'è poi sempre chi delle leggi e dei controlli se ne frega, come quel panciuto signore di colore che nel 2001, a Tampa, se ne stava tranquillamente seduto, a trecento metri dallo stadio, accanto ad uno scatolone di souvenir vistosamente falsi, su cui troneggiava un grottesco cartello: «Super Bowl things», (Robe del Super Bowl).


Roba dell’altro mondo, come l’intera settimana prima che finalmente si dia il calcio d'inizio alla partita vera.

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