Il super-poliziotto lascia ma si porta via i suoi segreti

Per vent’anni è stato il poliziotto dei casi disperati. Quando c’era un ostaggio che non si riusciva a riportare a casa, un clan che non si riusciva a incastrare, un morto ammazzato a cui non si trovava una risposta, arrivava Carmine Gallo. Una locomotiva. Ora che quella locomotiva imbocca uno scambio malfunzionante, e si avvia verso un binario secondario e forse morto, vale la pena di raccontare la storia del commissario Gallo come la storia di un servitore dello Stato, di un uomo mandato in quella zona di frontiera dove bisogna dialogare con chi sta nella trincea opposta, con gli uomini dell’esercito del crimine. E ancora più spesso bisogna prendere la fiducia di quelli che stanno in mezzo, nella terra di nessuno dove abitano i confidenti, i pentiti, i doppiogiochisti.
Per una vita Gallo è stato lo sbirro di fiducia della Procura di Milano. Per lui erano sempre aperte le porte dei pm di punta nella lotta al crimine organizzato. Ha risolto, tanto per dare un’idea, l’omicidio di Maurizio Gucci, mentre le indagini andavano a farfalle. Da oggi, questo poliziotto è, per sua stessa richiesta, il vicedirigente del commissariato di Rho. Via dalla Squadra Mobile, via da Milano, via dalle inchieste che contano. Imballa e trasloca i quaranta encomi solenni incorniciati in ufficio, e insieme a loro trenta scatoloni con i segreti di una vita. Se ne va perché da due anni è sotto inchiesta. Una delle indagini è della Procura di Venezia. L’altra è della Procura di Milano, dello stesso ufficio per cui ha lavorato una vita. E a cui, in una nota affidata ai suoi legali Antonella Augimeri e Gianluca Maris, questo napoletano esile e duro dedica un passaggio solo apparentemente riverente: «Non intendo mettere in difficoltà la Procura di Milano, con cui ho lavorato gomito a gomito, personalmente e professionalmente, ventiquattr’ore su ventiquattro».
Gallo non dice di sentirsi scaricato. Ma è certo che si sente tale. I due fascicoli che lo vedono indagato riguardano esattamente ciò per cui lo Stato per vent’anni l’ha usato e pagato: muoversi nella terra di confine. Neanche una verginella immagina che si possano ottenere favori dai confidenti senza, di tanto in tanto e nei limiti del ragionevole, dare qualcosa in cambio. Carmine Gallo ha superato quei limiti? In un fascicolo è accusato di avere convinto la Procura milanese a aprire una indagine solo per intrufolarsi in un’altra indagine già aperta in Veneto, e così proteggere in qualche modo Federico Corniglia, vecchio ed esperto uomo di malavita e di soffiate. Nella seconda, di avere permesso a Giorgio Tocci, ex poliziotto, poi gangster sanguinario ed infine pentito, di sgattaiolare un’oretta dagli arresti domiciliari. L’inchiesta di Venezia è ancora in alto mare. Per quella di Milano, invece Gallo verrà processato il mese prossimo.
Avrebbe potuto restare al suo posto, come altri sbirri finiti in guai analoghi e peggiori. Invece se ne va, molla.

Dei favori che avrebbe fatto ai pentiti, e dei quattrini trovati dietro un battiscopa di casa sua, si occuperanno i processi. In ogni caso, è davvero un’epoca che si chiude. Ma in fondo a Carmine Gallo una soddisfazione resta: la vecchia «mala», quella di cui era il nemico di fiducia, ha chiuso i battenti prima di lui.

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