da Milano
Nel 1997, più che un presidente fu un traghettatore. Guido Rossi, in virtù della sua autorevolezza in campo societario, fu nominato alla presidenza di una società pubblica - lallora Stet - e lasciò la presidenza di una società privata, Telecom Italia. Ebbe un preciso mandato governativo: realizzare questa transizione. Nellarco di undici mesi - dal 23 gennaio al 28 novembre - egli inseguì un disegno, anzi, visto che siamo in Italia, un sogno: quello di creare una public company, ossia una società di tale valore e ad azionariato così diffuso da risultare praticamente inattaccabile dalle scalate. Delle public company in Italia si è sempre parlato, ma non sono mai nate: vuoi per le dimensioni delle nostre aziende, che non sono quelle americane, vuoi per tutti quei sistemi di potere, leggi patti di sindacato, che permettono di comandare anche senza averne di fatto i numeri. A Telecom i presupposti cerano: privatizzarla significava quasi aprirla vergine al mercato. Allofferta aderirono due milioni di risparmiatori, oltre l85,5% del capitale; ma a comandare, ahimè, si ritrovò un «nocciolino» che raggruppava più o meno il 6%; e in questo nocciolino, il vero peso apparteneva allIfil della famiglia Agnelli, pur con un misero 0,6%. Il paradosso, che ebbe un forte peso sulluscita di Rossi, era evidente: si puntava allazionariato popolare, e intanto si metteva la società nelle mani dei «soliti» poteri forti.
Per il suo lavoro di consulenza societaria, il professore e avvocato Guido Rossi presentò anche la parcella: 40 miliardi di lire (poco più di 20 milioni di euro) che allora fecero grande scalpore, anche perché rimanevano a carico dei nuovi azionisti, e non di quelli che lo avevano incaricato. La parcella, che fu poi oggetto di trattativa, fu giustificata dai tariffari della categoria, che consentivano di arrivare fino al 3% del valore globale della pratica oggetto di consulenza. Nel caso di Telecom si trattava di 117mila miliardi.
Guido Rossi (ex senatore della Sinistra indipendente) fu scelto dallallora presidente del Consiglio, Romano Prodi, daccordo con i ministri Ciampi e Maccanico, e con lalto gradimento di Massimo DAlema. Il mandato era quello di privatizzare; Rossi si battè, da parte sua, per un più moderno assetto del potere, visto che questo doveva risiedere nelle mani dei manager, controllati dallazionariato diffuso.
Fu proprio uno dei suoi maggiori sponsor, quel DAlema allora segretario dei Ds, a influenzare la scelta di Rossi di andarsene: egli diede le dimissioni, quasi simbolicamente, allinsediamento del nuovo consiglio (lo sostituì poi Gian Mario Rossignolo). DAlema lo accusava di aver formato un nucleo stabile di «poteri forti».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.