Cinquecentosettanta colpi per sentirsi più leggero. Il critico darte più chiacchierato dItalia ha scelto una strada originale per molti, ovvia per lui per poter volteggiare quasi fosse don Lurio, sereno e finalmente leggero. Libero da quei due milioni di euro di debito che lo opprimono da una manciata danni. Lappuntamento con la libertà dellassessore alla Cultura è fissato per oggi alle 18 in corso Magenta 71 nello splendido palazzo Busca, location che non potrebbe essere più adatta, dove Finarte batterà allasta i 190 pezzi della collezione Cavallini-Sgarbi. Si tratta solo di una minima parte di un patrimonio che vanta ben 3700 pezzi, acquistati in giro per il mondo, principalmente a Londra, in 24 anni di onorata carriera da collezionista, un vizio (lunico, perché a suo dire, con lo spirito di contraddizione che lo caratterizza, non ne ha) che coltiva da sempre, essendo passato dalla collezione di cataloghi darte a quella di opere darte.
Cosa si aspetta dallasta? «Arrivare alla chiusura dei miei debiti». Non si fa in tempo a scrivere la risposta sul taccuino che Vittorio Sgarbi, luomo che non conosce il pudore, apre con gioia il suo libro spese e racconta davanti a una trentina di signore ingioiellate in visibilio alla sola idea di poter portare a casa un pezzetto della vita privata - che più pubblica non potrebbe essere - di Vittorio Sgarbi. «Ho vissuto per dieci anni con due miliardi allanno di debiti che non mi facevano nessuna specie perché guadagnavo una cifra pari con la televisione. Nel frattempo Sgarbi Quotidiani ha chiuso ed è entrato in vigore leuro. Io mi dicevo Sta a vedere che con leuro si dimenticano i miei debiti, ma ho scoperto che il mio debito era diventato di due milioni di euro. Così il minimo che penso di guadagnare con lasta sono 2 milioni e tre». Alla fine dellasta quindi vedrete Sgarbi uscire leggero. La situazione è disperata - insiste Sgarbi godendo dello sguardo tra lincredulo e il divertito delle sciure - io non spendo niente perché non ho vizi, però io apro il mese che sono già a meno venti perché spendo 6000 euro di affitto a Roma, 3900 euro di affitto qua, due autisti, le segretarie. Spese di ristorante non ne ho perché mi invitano sempre...». Tutti a lezione di economia sgarbiana, ovvero come sopravvivere tra debiti e conti in rosso, senza accusare il colpo... 190 pezzi, dipinti, sculture dal XV al XX secolo e voilà il gioco è fatto.
Come nasce la collezione di Sgarbi, che vanta ben 3700 pezzi in soli 24 anni?
«Ho costruito la collezione contro natura perché io, che non sono mai stato arganiano, ero convinto che possedere opere darte fosse sbagliato. Pensavo, non so bene nemmeno io perché, che larte dovesse essere di tutti - racconta con una buona dose di autoironia il critico -. Avevo una visione paleomarxista. Così ho cominciato a conquistare con i pochi denari che avevo dei libri, nell84 ho smesso di comprare libri, che erano molto costosi e a comprare quadri al prezzo talvolta dei libri e ho comprato. La seconda opera che ho comprato era Niccolò dellArca e impressionato dallidea che si potesse comprare Niccolò DellArca ho fatto lultimo assegno della mia vita, io che non ho mai avuto assegni e nemmeno soldi. Lopera più emozionante che ha comprato? Beh quella, non credo che ci sia un pezzo più importante di quello...». Il pezzo più importante dellasta però, è senza dubbio il Guercino, per la precisione La Madonna col Rosario di Giovan Francesco Barberi detto il Guercino che, pur essendo di medie dimensioni (117x96), è considerato il frammento di una pala daltare. «Questa è lultima opera di Guercino - spiega orgoglioso - che è stata riconosciuta da Denis Mahon, il massimo esperto del pittore bolognese, dopo che io lho acquistata da Sothebys a Londra come Studio del Guercino. Si vede qui che è stata tagliata da una grande pala d altare, probabilmente lha dipinta nellultimo anno della vita mentre con un piede andava nella fossa, è bellissima quella parte così un po evanescente. Perché lo vendo? Perché ne ho un altro. È bella idea di unopera di commiato. La base dasta? 220mila euro. La cornice lha trovata mia madre...».
Cè unopera che le dispiace particolarmente vendere? «Questo che è un capolavoro che vide Testori pensando che fosse Francesco del Cairo e invece è una delle opere più note di Alessandro Chiarini, grande pittore bolognese che parte da Ludovico Carracci. Rappresenta un soggetto anche piuttosto singolare che è la Santa Cecilia, con le teste di Tiburzio e Valeriano, il marito e il fratello. La cosa bella è il turbante della servente, con quel giallo scuro, bianco, il grigio e il prugna, quasi fosse una cosa di Armani. Di questo ne ha una copia più brutta la regina dInghilterra». Perché la vende? «Perché ce lha la regina, lho comprata a unasta della Finarte allepoca di Porro nel 1989. Questi, invece - dice indicando i Nani Musici - sono derivati da unincisione di Callò. Li vendo perché non ho un giardino».
Dietro a questione prettamente venali però, battere allasta ricordi di una vita, che a tratti si intrecciano con quelli famigliari, cè un nobile obiettivo: creare una Fondazione dedicata alla scultura, la parte più coerente della collezione. «Io ho la più importante collezione di scultura tra Otto e Novecento che esista». Ça va sans dire...