La Svezia si piega all’islam e guida il coro contro Israele

Israele è furiosa con la Svezia al punto che il suo primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo ministro degli Esteri Avigdor Lieberman insistono duramente perché il governo di quel Paese si dissoci dal contenuto dell’articolo che descrive i soldati del loro esercito come interessati macellai. Perché non lasciano il giornale, come i critici suggeriscono, a cuocersi nel suo brodo di menzogne? Perché Israele è satura, con la bomba atomica iraniana dietro l’angolo e la jihad in tutto il mondo, sente che oltre a Gerusalemme, anche gli ebrei in Europa sono in pericolo, e dopo anni in cui ha sollevato innanzitutto dubbi su se stessa, ha capito che se non cambia registro l’incitamento e l’odio possono soffocarla.
Se chiedi in giro com’è Israele e buona parte degli europei, nelle università, alle cene, ti descriveranno un vulcano di violenza contro i poveri palestinesi innocenti, una sentina di crudeltà, in cui i soldati sparano ai bambini e il governo solleva muri razzisti di apartheid o fa guerre inutili per il gusto di uccidere. Adesso, dopo che l’Aftonbladet, giornale svedese che vende un milione e mezzo di copie su nove milioni di svedesi ha pubblicato lunedì scorso un paginone che sosteneva, senza ombra di prove, come ha ammesso il suo direttore, che i soldati d’Israele uccidono i giovani palestinesi per «raccoglierne» gli organi, una nuova teoria del sangue circolerà in Europa, e verrà ripetuta, e si diffonderà fra chi la vuole sentire: ciò che il governo israeliano cerca di combattere è l’idea che nel mondo si possa dire senza essere contraddetti con autorevolezza che l’esercito israeliano uccide allo scopo di strappare organi ai morti. Un’accusa che può suscitare ondate di violenza antiebraica. Anche i cittadini israeliani stessi non ne possono più di sentirsi dare di criminali di guerra e magari minacciare di arresto, come è capitato spesso, se vengono in visita in Europa dove li inseguono, a cura delle denunce delle Ong filopalestinesi, mandati di cattura internazionali. Alcune centinaia di persone, esasperate, hanno firmato per boicottare le ditte svedesi come la Volvo e l’Ikea, qui molto popolare.
Il giornalista (chiamiamolo così) Donald Brostom, che ha scritto l’articolo riporta solo voci e chiacchiere oltretutto riferite a 17 anni fa, e stabilisce una nuova bizzarra regola: spetta a Israele provare che non è vero. Secondo questo criterio spetterebbe a Israele provare che l’attentato delle Twin Towers non è stato un complotto sionista, che a Jenin non ci fu una strage, o che il bambino Mohammed Al Dura non fu ucciso dall’esercito israeliano, o che la “strage” di Kfar Khana in Libano fu orchestrata dagli Hezbollah, o che il buco sul tetto dell’ambulanza fotografato da tutto il mondo sempre durante la guerra del Libano non era stato causato da perfido missile ma procurato con la fiamma ossidrica. E anche che le sue soldatesse non si presentavano nude in battaglia per confondere i palestinesi, o che come disse Suha Arafat a Hillary Clinton, gli ebrei avvelenavano le acque, oppure che diffondono l’Aids col chewing gum, o che come disse Arafat stesso alla stupefatta platea di Davos, che distribuiscono giocattoli e cinture radioattive. Tutte queste balle e tante altre, dovrebbe essere Israele a smontarle, o un’opinione pubblica civile a dissociarsene?
Torniamo alla Svezia, che in questi mesi detiene la presidenza della Unione Europea: subito dopo la pubblicazione dell’articolo la sua ambasciatrice, Elisabet Borsin Bonnier ha avuto il buon senso di condannarne il contenuto; se il suo governo si fosse limitata a sostenerla, senza chiedere dimissioni o chiusure di giornali, le cose sarebbero andate lisce. Invece il primo ministro Fredrik Reinfeld ha preferito pontificare sulla liberta di stampa, e non ha trovato un secondo per dissociarsi dal contenuto del pezzo, senza ledere la libertà di opinione, che anzi egli avrebbe in quel caso esercitato. Anche il ministro degli Esteri Carl Bildt non ha aperto bocca e ha anzi sanzionato l’atteggiamento della sua ambasciatrice. Perché? Se qualcuno ha negli occhi le immagini dello stadio di Malmoe chiuso agli spettatori mentre vi si gioca la coppa Davis perché una delle squadre in lizza è israeliana, se si guarda poi al fatto che la maggioranza degli abitanti di Malmoe è di origine mediorientale e in generale islamica, se si considerano anche le immagini (reperibili facilmente su YouTube) della manifestazione superviolenta che ha rovesciato e distrutto veicoli della polizia di fronte allo stadio vuoto, contro la squadra israeliana... si comincia a capire.
Paura degli immigrati per cui l’odio antisraeliano è un pilastro identitario? O rispetto del diritto di opinione? Si direbbe di più la prima cosa se si considera che nel 2005 il governo svedese, benché la vicenda fosse danese, si scusò per le famose vignette che scherzavano su Maometto. Là non valeva la libertà di stampa. Si capisce ancora di più quando si ascoltano le risposte del giornalista Bostrom e del direttore del giornale Jan Helm che ripetono di essere non sospettabili di antisemitismo in quanto strenui difensori dei diritti umani. Questo è un punto fondamentale: il governo svedese è un grande finanziatore delle Ong che, supportate dall’Onu, supportano più che i diritti umani l’odio antisraeliano. Uno studio sistematico dell’Ong Monitor ha scoperto che le maggiori organizzazioni governative, come Drakonia, finanziano tutti quelli che accusano Israele di «genocidio», «pulizia etnica», «apartheid» e che paragonano Israele ai nazisti.

Nessuno stupore che gli svedesi e come loro, in misura più o meno larga, tutti i Paesi che ricevono “studi”, “ricerche”, “rapporti” creino una base culturale che somiglia alle accuse con cui si suggeriva che gli ebrei usavano il sangue dei bambini nelle azzime di Pasqua. E con cui noi ci trasformiamo in confusi, pericolosi bevitori di menzogne.

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