Nel mai eguagliato film Il terzo uomo, Orson Welles proclamava che cinquecento anni di democrazia svizzera avevano prodotto lorologio a cucù. La battuta sa di luogo comune e un libro di Jean-Jacques Langendorf, Neutrale contro tutti. La Svizzera nelle guerre del 900 (Edizioni Settecolori, distribuite da Mursia, traduzione di Maurizio Cabona, pagg. 320, euro 18) aiuta a capire perché. Già noto per i raffinati racconti pubblicati da Adelphi e Guida, nonché politologo e musicologo, Langendorf propone una guida non alla Svizzera del benessere e del quieto vivere, ma a quella di una neutralità vigile e armata, con una concezione dellesercito di popolo con poco da invidiare a quella di Israele o del Vietnam.
Un piccolo grande Stato, multietnico, plurilinguistico, estremamente coeso, che sin da Guglielmo Tell coltiva laureo precetto si vis pacem para bellum. Se si aggiunge che è lunico Paese nel cuore dellEuropa le cui frontiere siano immutate dal Congresso di Vienna (1814-15), si capirà come sia stato invidiato o concupito dai vicini. Già durante la Grande guerra sia lIntesa, sia la Triplice imposero alla Svizzera draconiani controlli doganali. Ma la minaccia più grave si ebbe allinizio e verso la fine del secondo conflitto. Nellestate 1940, quando, debellata la Francia, Hitler preparò la «missione Svizzera». Poi, nella primavera 1945, lavanzata sovietica lambì la Confederazione, che rischiava dessere «liberata» dallArmata rossa. Gli alleati occidentali risposero picche e Stalin fece marcia indietro.
Se Stalin non poté invadere la Svizzera, Hitler con ogni probabilità non aveva voluto farlo. Berlino aveva già ottenuto lAnschluss economico e sarebbe stato assurdo uccidere la gallina dalle uova doro. Ma poiché Hitler rifiutava il primato delleconomia, a fermarlo fu anche la consapevolezza che gli svizzeri, ben protetti dal sistema difensivo alpino (il «ridotto»), avrebbero venduta cara la pelle. Il capo di stato maggiore della Wehrmacht, Halder, riuscì a convincere il suo capo che era meglio soprassedere. Lanno dopo non ebbe la stessa fortuna, sconsigliando lattacco alla Russia. Innegabili quindi il coraggio e il senso civico di cui la Svizzera diede allora prova. Esemplare la tenacia con cui smantellò reti spionistiche e sopportò bombardamenti «involontari», sia tedeschi che alleati. E inestimabile lassistenza che fornì a un numero di rifugiati valutato fra i tre e i quattrocentomila, di cui circa trentamila italiani, militari e civili, dopo l8 settembre 1943: la più alta percentuale in rapporto alla popolazione di tutti i Paesi liberi, Stati Uniti compresi. Eppure, la Svizzera è stata trascinata da alcuni anni sul banco degli imputati morali della seconda guerra mondiale. Laccusa più clemente è stata di calcolo e cinismo; la più infamante, di aver lucrato sulle transazioni doro con la Reichsbank nazista e incamerato depositi bancari (i «conti senza eredi») per quaranta-cinquanta milioni di franchi, poi decuplicati dal rilancio mediatico.
Langendorf cerca di smontare punto per punto queste asserzioni, coronate nel 1998 dal discusso rapporto interinale di una Commissione di esperti istituita dal Consiglio federale. Non ci addentriamo negli elementi che egli presenta per demolire la campagna, cominciata allestero e riecheggiata in patria dal «masochismo di certi svizzeri», intellettuali in testa.
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