È il passato che non lo lascia. E lo viene a riprendere per sbatterlo davanti a quel maledetto pomeriggio del 1977. Aveva perso la testa Roman, aveva invitato la ragazzina nella villa di Jack Nicholson. Le aveva raccontato del successo e del bel mondo di Hollywood. Un paio di fotografie ben scattate e la strada si sarebbe spalancata, le aveva detto. Lei in posa ai bordi della piscina, sorrisi e moine. Lui che scattava, come un ossesso, sempre più da vicino. Un corpo da modella. Bellissima. Giovanissima, una bambina in fondo di soli tredici anni, drogata di parole e di stupefacenti, fatta ubriacare e violentata. Costretta a fare sesso con lui. Sodomizzata.
È quello il pomeriggio che Roman Polanski non potrà mai archiviare. Nonostante i film, nonostante i premi, gli Oscar non ritirati per paura dellarresto. Quel pomeriggio di violenza gli resterà appiccicato addosso per sempre. Lui che aveva chiesto e ottenuto perdono alla vittima, lui che aveva ammesso, anche solo parzialmente labuso. Un anno dopo, nel 1978 aveva confessato, aveva fatto sesso con la giovane modella, Samantha Gailey; aveva anche patteggiato con il tribunale di Santa Monica, si era dichiarato pronto a seguire una terapia. Poi qualcosa in quel meccanismo del patteggiamento si era inceppato. Roman probabilmente si era lasciato vincere dalla paura. Usò il permesso per finire un film in Europa per non tornare più. La sua vita è continuata così, a due binari. Per trentanni. LEuropa come un Eldorado. La spiaggia della salvezza. È dalla sponda sicura di Parigi che Roman ha sempre sostenuto di essere caduto in una trappola tesa dalla madre della ragazzina, di essere vittima di un procuratore ossessionato dalla sua cattura.
Ieri Roman ha incassato un altro no. Pochi giorni fa, il 26 settembre, era stato arrestato in Svizzera. Stava andando a ritirare un premio quando è stato catturato allaeroporto di Zurigo. I suoi avvocati avevano tentato lultima carta: un rilascio su cauzione. Ieri il no secco dallUfficio federale di giustizia elvetico: il rischio di fuga è troppo alto. Polanski resta in cella. Nei giorni scorsi si era parlato di un possibile rilascio del regista in attesa di estradizione per assegnarlo a residenza coatta nel suo chalet di Gstaad, nellOberland bernese. Era una piccola speranza che gli avevano dato gli avvocati. Dopo larresto per mandato di cattura americano, i suoi difensori avevano presentato la richiesta di rilascio lo scorso 29 settembre, tre giorni dopo la cattura. Lo stesso giorno avevano presentato un ricorso al Tribunale penale di Bellinzona. Ieri Roman ha perso le speranze. La Svizzera ha mantenuto il patto con la civiltà. «Linciaggio mediatico», dicono i suoi difensori. «La biografia di una persona - aveva fatto sapere subito dopo la cattura, il ministro della giustizia, Eveline Widmer-Schlumpfsuch - non deve definire un trattamento di favore davanti alla legge». «Non abbiamo subito pressioni da parte americana. Polanski era sulla lista dei ricercati dellInterpol e con gli Stati Uniti abbiamo accordi legalmente vincolanti». Civiltà, non accanimento. Un conto che dopo trentanni va saldato. Gli avvocati intanto parlano di un uomo «molto stanco, composto ma anche choccato per laccaduto».
Così, intellettuali, garantisti, registi e politici si sono schierati per chiedere la scarcerazione del cineasta. Dopo il ministro della Cultura, anche quello degli Esteri francese, Bernard Kouchner, si è espresso a favore del regista e ha anche confermato di aver scritto al segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, per sollecitare la clemenza di Washington. I più indignati sembrano essere però gli attori e registi.
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