Svizzera spaccata in due come la mela di Guglielmo Tell per il referendum di domani che chiede la proibizione dei minareti, «simbolo del potere islamico», sul territorio della Confederazione. Una spaccatura che sulla carta non dovrebbe esistere, dal momento che i sostenitori del quesito referendario appaiono isolati: da una parte il partito della destra conservatrice Udc (il più forte della Svizzera ma comunque sotto il 30 per cento) e la piccola Lega dei Ticinesi, dall’altra il governo e tutti gli altri partiti svizzeri, più i rappresentanti delle religioni cristiana ed ebraica.
Questo a livello istituzionale. Ma siccome a votare sono i singoli cittadini, ecco che domani sera potrebbe uscire dalle urne una sorpresa. Perché molti svizzeri magari non lo ammettono volentieri in pubblico, ma un bastone tra le ruote dell’«islamizzazione strisciante», come la definiscono i promotori del referendum, lo metterebbero molto volentieri.
I sondaggi incoraggiano le speranze dei nemici del minareto, che possono contare su un 47 per cento di sostegni dichiarati, ben oltre il peso politico dei due partiti schierati dalla loro parte. Considerato il margine di errore statistico e soprattutto la segretezza mantenuta da molti sulle intenzioni di voto, la proposta d’iniziativa popolare (che ha raccolto senza difficoltà le centomila firme necessarie per la presentazione) potrebbe prevalere.
Il dibattito in Svizzera sull’argomento è molto acceso (e il clima non sempre disteso: la moschea di Ginevra è stata vandalizzata per tre volte). I promotori respingono l’accusa di aver lanciato un’iniziativa contro la religione musulmana. Non siamo contro le moschee e la libertà di culto, dicono, ma solo contro la costruzione dei minareti, che sono «un simbolo del potere islamico» e un insulto all’armonia del nostro paesaggio tradizionale. Gli slogan utilizzati nella campagna elettorale sono però solo in parte coerenti con questo assunto. Si evoca spesso il pericolo dell’introduzione surrettizia della legge coranica (la sharia) e non mancano le citazioni critiche di uno slogan caro a un leader musulmano che pure gode fama di moderato, il premier turco Erdogan: «Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti, i fedeli i nostri soldati».
Dal canto loro, gli oppositori dell’iniziativa non mancano di bollarla come «un grave errore». Il governo e la maggioranza dei partiti svizzeri affermano che il no ai minareti infrange diversi diritti fondamentali, oltre a fallire in quello che dovrebbe essere il suo primo obiettivo: il contenimento dell’estremismo islamico. La maggior parte degli oltre 400mila musulmani che vivono in Svizzera (circa il 5% della popolazione: erano solo 56mila nel 1980) sono ben integrati e molti di loro hanno la cittadinanza elvetica e se la norma anti-minareti passasse - sostengono i suoi detrattori - la pace sociale sarebbe a rischio. Sentendosi umiliati, infatti, molti di loro potrebbero subire il richiamo del fanatismo islamico.
Il vero paradosso della vicenda è che entrambi gli schieramenti si accusano a vicenda di violare i diritti umani. Gli oppositori dell’iniziativa lamentano che questa causerebbe discriminazione e limitazione della libertà religiosa; i promotori affermano invece che è proprio la cultura islamica a infrangere le libertà fondamentali. I sostenitori del referendum accusano inoltre di censura alcuni editori e le autorità comunali che hanno rifiutato di pubblicare o lasciar affiggere il manifesto per la loro campagna elettorale.
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