Svolta diplomatica della Cina: segnali di apertura al Vaticano

Il Santo Padre: «Lasciar cadere il caso giudiziario arrecherebbe un grande onore a tutto il popolo afghano»

da Roma

Tra Santa Sede e Cina sono in corso «contatti informali» e, se invitato, il Papa accetterebbe volentieri di recarsi a Pechino, magari nel 2008, l’anno delle Olimpiadi. Sono parole destinate a lasciare il segno quelle pronunciate dall’arcivescovo Giovanni Lajolo, «ministro degli Esteri» di Benedetto XVI, che in due interviste rilasciate al «South China Mornig Post» e alla I-Calbe Tv di Hong Kong, commentando la nomina del neo-cardinale Zen, ha colto l’occasione per fare il punto sui contatti tra Roma e Pechino.
«Attraverso contatti informali, la Santa Sede ha cercato di richiamare l’attenzione sui bisogni della Chiesa in Cina», ha affermato il diplomatico vaticano, riferendo di «alti e bassi nei colloqui, come avviene in genere in ogni trattativa». «A me - ha aggiunto l’arcivescovo - sembra che i contatti non siano stati privi di frutti». Certo, non mancano anche «segnali contraddittori»: «l’impressione – spiega il prelato – è che mentre le più alte autorità mostrano volontà di regolarizzare le relazioni, a livelli intermedi sono presenti coloro che marciano contro». Lajolo ha detto comunque che «i tempi sono maturi» e che la Santa Sede spera «in una apertura da parte delle autorità cinesi che non possono ignorare né le aspettative del loro popolo, così come i segni dei tempi».Il «ministro degli Esteri» d’Oltretevere ha poi ricordato il «grande desiderio» del Pontefice di visitare i cattolici cinesi e ha ipotizzato l’anno delle Olimpiadi di Pechino come possibile meta. Condizione necessaria «è un invito da parte del governo cinese», e anche se «arrivasse nel 2008», quando il Pontefice avrà 81 anni, «credo che egli non esiterebbe ad andare a Pechino».
Quanto alle relazioni diplomatiche con la Santa Sede interrotte da Mao nel 1951 con la cacciata del nunzio apostolico, costretto a riparare a Taipei, il «ministro degli Esteri» vaticano ha ribadito la disponibilità al dialogo già più volte autorevolmente espressa dalla Santa Sede. Due sono le questioni poste con insistenza da Pechino: la rottura delle relazioni diplomatiche con Taiwan e le nomine episcopali sulle quali il governo, attraverso l’associazione della Chiesa patriottica, vuole avere un ruolo. Proprio su questo punto, seppure tacitamente, nell’ultimo anno la Santa Sede e Pechino hanno trovato l’accordo su alcune nomine episcopali e dunque il problema è in via di superamento.In Cina non esistono due Chiese, una fedele a Roma e clandestina, un’altra fedele al governo e «ufficiale»: la Chiesa – lo ha ribadito più volte lo stesso cardinale Zen – è una sola. Per quanto riguarda Taiwan, invece, la posizione è da tempo nota. La Santa Sede è pronta a spostare la nunziatura da Taipei a Pechino anche subito.
Lajolo ha infine parlato del ruolo del neo-cardinale di Hong Long. «La decisione di Benedetto XVI di includere l’arcivescovo Joseph Zen tra i 15 nuovi porporati – ha detto – è solo la prova del grande amore che egli nutre verso la Cina». Un riconoscimento nei confronti «degli alti valori della cultura e della tradizione cinesi, oltre al ruolo che la Cina moderna riveste nel mondo d’oggi».

Il «ministro degli Esteri» vaticano ha voluto anche smentire coloro che hanno dipinto il cardinale Zen come un «elemento di disturbo» nelle relazioni tra Cina e Vaticano per le sue prese di posizione pubbliche, ricordando come il suo impegno in favore della giustizia sociale e dei diritti umani «non significa che abbia interferito nell’attività legislativa dello Stato o abbia manipolato le coscienze dei cittadini. Egli ha semplicemente agito nella sfera della libertà riconosciuta per tutti».

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