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La svolta rosa: lavorano più donne che uomini

«È la più grande rivoluzione sociale dei nostri tempi», scrive l’Economist. Una svolta: nei prossimi mesi le donne diventeranno maggioranza della forza lavoro negli Stati Uniti. «We did it», ce l’abbiamo fatta, titola in prima pagina il settimanale della City di Londra: la frase messa in bocca a un’operaia con i muscoli in bella mostra dell’americana Westinghouse Electric, simbolo dell’ingresso delle donne in fabbrica dopo secoli di lavoro domestico.
Gli ultimi dati - relativi a ottobre - dicono che le donne occupate negli Usa hanno raggiunto quota 49,9%. Il sorpasso è alle porte. E intanto si è già realizzato in altri settori: le donne sono più del 50% dei laureati nei Paesi Ocse e maggioranza dei professionisti in molti Paesi ricchi. La crisi ha giocato la sua parte. la gran parte dei posti di lavoro persi nella crisi erano in mano ai maschi. Una svolta epocale che per l’Economist è ancora più significativa se si pensa che è avvenuta col consenso di entrambi i sessi. La ragione non è difficile da comprendere. I muscoli servono sempre meno nel mondo del lavoro. Questa è l’epoca del trionfo del cervello. E il cervello non conosce sesso. La politica ha giocato la sua parte. Grazie a donne di potere che sono diventate simboli, da Margaret Thatcher a Hillary Clinton.
Ma come in tutte le rivoluzioni che si rispettino anche quella rosa a cui stiamo assistendo ha molte facce. Tanto per cominciare il cammino è lungo per molti Paesi. E l’Italia, insieme col Giappone, ha ancora tanto da imparare dagli Stati Uniti. Se nel nostro Paese l’impiego di donne è cresciuto molto nell’ultimo decennio, in Italia le lavoratrici restano meno della metà degli occupati (la quota di uomini che lavorano è più alta di circa 20 punti percentuali). In cima alla classifica dei virtuosi - i Paesi in cui la disparità è meno evidente - ci sono Svezia, Danimarca, Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Ma anche nei Paesi dove il sorpasso è vicinissimo resta il problema delle sottorappresentazione delle donne nei vertici aziendali (sono solo il 2% nelle aziende americane più grandi e il 5% in quelle britanniche). E le famiglie vivono sempre più numerose la complicazione della gestione familiare.

Quale futuro per loro e per i figli spesso vittime delle rivoluzioni sociali? Per l’Economist la via d’uscita è l’investimento nei servizi, dall’allungamento degli orari di apertura degli asili al taglio dei tempi di chiusura delle scuole. Per il settimanale inglese la via non sono i cambiamenti legislativi: lunghi congedi maternità o soluzioni simili spaventano i datori di lavoro e rischiano di relegare le donne al settore pubblico.

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