In tribunale, con un pizzico d’orgoglio, hanno commentato così il varo ieri del decreto «svuotacarceri»: «É il modello Milano applicato su scala nazionale». Perché, aldilà del nome vagamente polemico, il decreto legge approvato ieri dalla Camera dopo che il governo Monti aveva posto la fiducia, cambia in modo radicale il trattamento riservato agli arrestati in flagranza dalle forze di polizia. L’obiettivo dichiarato del neo-ministro Paola Severino è quello di evitare l’impatto col carcere a esseri umani destinati spesso ad essere liberati dopo il primo incontro col giudice: per questo la legge prevede che gli arrestati siano trattenuti nelle camere di sicurezza delle questure e delle caserme dei carabinieri o in strutture analoghe fino al momento dell’udienza di convalida. Inoltre, la legge accorcia da 96 a 48 ore il tempo massimo entro cui i fermati devono essere portati davanti al giudice. Ed esattamente è quello che accade già nel tribunale milanese.
La piccola rivoluzione del palazzaccio di Porta Vittoria è passata per un intervento edilizio realizzato in silenzio: la costruzione all’interno del tribunale di una specie di «braccio» penitenziario, un reparto che ospita cinque celle dove gli arrestati vengono tenuti in attesa dei processi per direttissima. Una struttura analoga esisteva da tempo (nel gergo era chiamata «braccetto»), sul lato di via Freguglia, per ospitare i detenuti di lungo corso, quelli che ogni mattina arrivano dalle carceri di tutta la Lombardia per assistere alle udienze a loro carico, e che la polizia penitenziaria parcheggia nelle camere di sicurezza in attesa del processo. Ma ai fermati della notte prima, l’utilizzo del «braccetto» era interdetto. Così a poliziotti e carabinieri toccava bivaccare in compagnia dei loro arrestati, nei cortili, nei corridoi o a bordo delle Volanti.
É nata così l’idea di ricavare nei seminterrati del palazzo di Giustizia una piccola struttura di tipo carcerario, ma con alcuni elementi che la rendono sensibilmente più civile di San Vittore. Non è un cinque stelle e nemmeno un bed & breakfast. Però si tratta di una cella grande di quattro più piccole, in grado di ospitare contemporaneamente fino a 25 detenuti, garantendo il riscaldamento d’inverno e l’aria condizionata d’estate, una sedia, un bagno e un medico, nonchè un pasto caldo se l’udienza si prolunga fino ad ora di pranzo. Dalle celle i fermati vengono portati nelle aule di udienza a piccoli gruppi, evitando le scene avvilenti che fino a poco tempo fa offrivano i gabbioni sovraffollati delle aule. Dopo la decisione del giudice, i fermati vengono direttamente scarcerati o - se ne viene disposta la custodia in carcere - accompagnati in prigione. Prima dell’udienza, insomma, a San Vittore non ci finisce nessuno.
Anche la seconda innovazione portata su questo fronte dal decreto Severino obbliga i tribunali di tutta Italia a fare quello che a Milano si fa già: portare i fermati davanti a un giudice entro 48 ore dal momento del loro arresto (finora la legge imponeva il limite delle 96 ore).
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