Dieci anni ad uno, dodici anni all'altro: queste le pene che il Tribunale di Milano, presieduto dal giudice Piero Gamacchio, ha inflitto a due pregiudicati siciliani accusati di avere trasformato in un calvario quello che per un loro compaesano trasferito al nord poteva essere un colpo di fortuna, uno di quelli che ti cambiano tutta la vita. Sette miliardi di lire vinti al Superenalotto. Ma Salvatore Spampinato fece l'errore di parlare un po' troppo di quella schedina azzeccata. E di parola in parola la notizia arrivò alle orecchie degli uomini della malavita organizzata. E per Spampinato iniziò l'incubo.
Di quell'incubo, in qualche modo, Spampinato è rimasto prigioniero: tanto che ha cercato persino di «coprire» i suoi taglieggiatori, minimizzando quanto possibile l'importo della «stecca». «Ho dovuto dargli cento milioni», aveva detto al pubblico ministero. E questo importo compariva negli atti con cui la Procura incriminò cinque malavitosi. Ma poi alcuni pentiti di mafia, nelle loro confessioni al pm milanese Marcello Musso, hanno raccontato che la quota della vincita versata alle casse del clan era stata ben più rilevante: quattrocento milioni di lire, quasi 200mila euro.
Tre degli uomini finiti sotto inchiesta avevano scelto la strada del patteggiamento. Due, Alessandro Emmanuello e Francesco Verderame, hanno invece affrontato il processo che si è concluso oggi.
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