Un talento che non ha imitatori

Vedi Andrea Pirlo e capisci tutto: il calcio è questo qua ed è la differenza con quelli che tirano due calci a un pallone. Non c’è bisogno di parlare, non c’è bisogno di aggiungere. Andrea è un genio muto. Tace perché parla coi piedi. Cioè quello che riesce a uno su un miliardo: gli altri ci provano e non ce la fanno. Magari vincono, ma restano sempre pretoriani delle sfide per strada, col portiere volante e il vale- tutto-anche-la-sponda, mezzi figli di Pasolini e mezzi fratelli di Mark Lenders: geniali, ma approssimativi; spesso efficaci, ma rozzi; probabilmente fantasiosi, ma individualisti.
Pirlo è il talento confezionato: libero, ma impostato come un calcolatore. È la sintesi, come se tutti quelli che ha incontrato nella vita abbiano preso il suo talento e l’abbiano dosato senza disperderlo o umiliarlo. È la dimostrazione che si può essere campioni mischiando quello che si ha dentro e quello che si può imparare da quando arrivi alla scuola calcio fino a che non ti metti la maglia del Milan. È un istinto razionale: una contraddizione lessicale, ma non calcistica. È la modernità, uno che studia il pallone come oggetto per capire dove bisogna colpirlo per avere quell’effetto là, che sa che la palla Adidas prende questo giro, mentre quella Nike prende quell’altro. È Rivera, solo che invece di aver cominciato perché aveva qualità, ha scoperto di avere le qualità perché ha cominciato. Pirlo è un mostro. Pirlo è una magia discreta. Se andrà via, il calcio italiano avrà perso una rarità. Perché è un giocatore diverso, unico, inimitabile, uno che all’appariscenza ha preferito l’eleganza: i tifosi del Milan lo hanno amato, ma forse non capito fino in fondo. Ci sta, perché agli atipici capita spesso. Allora a San Siro s’è visto e si vede ancora qualcuno che storce il naso quando sbaglia partita, che lo giudica senza grinta o anche troppo poco goleador, che lo paragonava a Gattuso o a Kakà, senza voler neppure comprendere che lui sta esattamente in mezzo, ma non può fare né uno né l’altro. Pirlo è il calcio. Basta. Se uno non riesce a capirlo, sono problemi suoi.
Vuoi uno che si faccia il campo da solo, superi tutti e vada a segnare? Ce ne sono tanti: parti da Totti e vai a scendere, fino a Pasquale che se vuole può prendere il pallone e, tra un rimpallo e uno stop sbagliato, può arrivare in porta. Vuoi uno che segni in qualunque modo? Devi solo scegliere tra Inzaghi e Eto’o, passando per Zampagna. Vuoi uno che stia in mezzo a rompere e rimettere in piedi? C’hai Ringhio e c’hai De Rossi e c’hai Cambiasso. Andrea è più simile a Van Basten: non è questione di ruolo, ma di geni e statistica. Carmelo Bene disse di Marco: «Potremo avere un altro Maradona, ma non un altro Van Basten». Ecco Pirlo sta qui vicino, nella categoria dell’unicità, dell’irripetibilità. Quelli come Andrea poi sono rari perché fanno un mestiere che pochi bambini sognano: quando cominci vuoi essere o quello che segna e se capisci che non sei buono, allora scegli di diventare quello che mena. Lui no: «A me fa impazzire fare un assist». A tutti e a uno, cioè a Baggio che ancora ricorda il lancio ricevuto quando giocavano insieme a Brescia.

Era a Torino, contro la Juve: 50 metri fino al piede di Roby. Applausi per Andrea che l’ha fatto con tutti gli altri. Un taglio con la testa alta, una palla filtrante. Nel calcio non tutti vogliono fare gol: si può godere anche per meno.

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