Talpe a Palazzo di Giustizia, tre condanne

Cancelliere e avvocato passavano notizie a un uruguaiano. Altre 2 persone rinviate a giudizio

Talpe a Palazzo di Giustizia, tre condanne

Stefano Zurlo

Centinaia di accessi nel registro informatico dei giudici delle indagini preliminari. Ora tre delle presunte talpe, attive a palazzo di giustizia sono state condannate: l’avvocato Bruno Colaleo a 1 anno e 8 mesi, il cancelliere Luciano Scimia a 1 anno e 6 mesi, il cittadino sudamericano Silvera Darnich a 1 anno. Altre due persone, un legale e un cancelliere, sono stati rinviati a giudizio e saranno processati in aprile. Scimia e Colaleo erano imputati di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio, Colaleo anche di favoreggiamento: Scimia il 17 luglio 2003 era entrato con la sua password nel sistema telematico Re.Ge. della procura e del tribunale di Milano, aveva raccolto informazioni riservatissime su un procedimento a carico di alcuni cittadini uruguaiani, in particolare aveva scoperto che stavano per essere arrestati alcuni sudamericani. Poi aveva girato le notizie a Colaleo che a sua volta le aveva passate a Darnich, in contatto con ambienti malavitosi.
L’indagine si è svolta in buona parte all’interno del tribunale di Milano: microcamere criptate hanno filmato quel che avveniva nelle stanze 61 e 708 dell’ufficio gip; le immagini si sono aggiunte alle intercettazioni e alle tracce lasciate dai due impiegati nel sistema Re.Ge: incursioni un po’ ovunque in numerosissimi faldoni nelle mani dei gip. Procedimenti spesso giunti a snodi delicatissimi, per esempio l’emissione di ordini di custodia cautelare. Del resto, il Re.Ge. è una sorta di autostrada telematica in cui circolano informazioni preziose e, almeno in una circostanza, l’accesso sarebbe servito per anticipare le manette. Ma il pubblico ministero non è riuscito a dimostrare il passaggio di denaro e dunque l’accusa più grave, la corruzione in atti giudiziari, è caduta già nella fase delle indagini. Molti ingressi abusivi nel Re.Ge., compresi quelli nei procedimenti riguardanti Silvio Berlusconi e Wanna Marchi, sembrano avere un’unica, desolante, spiegazione: la curiosità.
Inoltre, la struttura stessa dell’ufficio complica il funzionamento del sistema e una parte almeno delle scorribande potrebbe avere la più banale e inattaccabile delle spiegazioni: motivi di lavoro su richiesta di un giudice. Spesso infatti i cancellieri vengono dirottati, per le continue mancanze di personale, in altri uffici e a quel punto aprono e studiano fascicoli teoricamente loro preclusi. Del resto in una nota dell’11 marzo 2004, l’amministratore del sistema Loredana Allaria scriveva: «Ho ritenuto opportuno assegnare un livello di password ai magistrati che permettesse loro la visualizzazione dei soli procedimento di cui sono titolari, mentre al personale delle cancellerie ho assegnato una pw che permettesse l’aggiornamento dei procedimenti a prescindere dal gip/gup titolare, onde ovviare a problemi di sostituzioni, frequenti fra il personale stesso».
In un’altra nota del 25 novembre 2004, i dirigenti della cancelleria avevano però messo le mani avanti: «I dati contenuti nel Re.Ge.

riflettono la conoscenza di affari processuali la cui impropria ed inopportuna divulgazione rientra, sicuramente, nell’ipotesi di violazione del segreto d’ufficio, con inevitabili ripercussioni a livello disciplinare e penale».

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