Tam tam dei prodiani: non votate Margherita

Laura Cesaretti

da Roma

Lo scontro su laicità e questione cattolica continua ad agitare l’Unione, e rischia di far abortire il Partito democratico che dovrebbe nascere da ds e Margherita dopo le elezioni.
La Rosa nel pugno di Emma Bonino ed Enrico Boselli ha fatto - come accusa il ds Chiti - della laicità la propria «bandiera» elettorale, e tutta l’ala sinistra dell’Unione è costretta a inseguirla per cercare di non lasciargliene il monopolio e il relativo bottino in voti. Così ieri Fausto Bertinotti ha aperto alle adozioni da parte di coppie gay: «Non capisco perché un nucleo di persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, non possa allevare un bambino altrimenti privato di ogni affetto». Persino Oliviero Diliberto si è reso conto del pericolo: «Nel programma del centrosinistra c’è troppa timidezza sul tema cruciale della laicità». E il suo vice Marco Rizzo è più esplicito: «Non può essere lasciato a socialisti e radicali, la sinistra deve essere meno timida». Ma il partito più in difficoltà è la Quercia, costretta a giocare in difesa: «Vorrei dire alla Bonino - dice Massimo D’Alema - che in tema di laicità noi Ds non siamo secondi a nessuno». Concetto ribadito aspramente anche da Gavino Angius: «Non prendiamo lezioni da nessuno: siamo stati protagonisti nell’impegno per lo Stato laico, e non abbiamo alcunché da dimostrare a nessuno su questi temi». Ma la gragnuola di colpi della Rosa ai ds non si ferma: «Mi pare grave che subiscano la linea proposta da Rutelli e dalla Margherita che sembra direttamente dettata dal cardinale Ruini», attacca Daniele Capezzone. Avverte Bonino: il partito democratico dovrà fare i conti con noi, se non vuol essere solo «un’unione di ex comunisti e post democristiani». Incalza Boselli: «Fassino teme che una parte dell’elettorato di sinistra guardi alla Rosa nel pugno come a una forza che difende i principi di laicità dello Stato. Ecco perché polemizza con noi».
Il segretario dello Sdi mette il dito nella piaga: il Botteghino sta facendo monitorare con particolare attenzione il rischio «splitting», ossia che una quota di elettori rifiuti di votare alla Camera la Lista dell’Ulivo e scelga la Rosa per protesta contro l’alleanza con la cattolica Margherita, mettendo la croce sulla Quercia al Senato, dove corre sola. Rischio molto concreto, confermano i sondaggi. E che contribuirebbe a un problema che Romano Prodi e i suoi si stanno ponendo in queste settimane: che succede se il listone unitario prende meno voti della somma di Ds e Margherita al Senato? Al momento, i sondaggi sarebbero sul filo di rasoio, una fuga di voti ds potrebbe aumentare il gap, dimostrando che l’Ulivo è meno appetibile dei singoli partiti, con grave smacco per il candidato premier.
Tanto che per scongiurarlo nella Margherita è partito un tam tam sotterraneo dei prodiani, avversari di Rutelli e della sua «deriva clericale»: racconta ad esempio il costituzionalista Stefano Ceccanti, ulivista convinto, di aver ricevuto diverse e-mail che invitano a non votare al Senato il simbolo della Margherita, trasferendo il voto alla lista dei Pensionati, «l’unica lista civetta del centrosinistra». E pochi giorni fa, in un corridoio di Montecitorio, un esponente prodiano di punta confidava: «Romano avrebbe dovuto lasciarci fare la lista Prodi al Senato: molti nelle nostre file non vogliono votare per Rutelli, né possono votare Ds, e non sanno che fare».

Non è sfuggito, d’altronde, che lo stesso candidato premier si è trincerato dietro la «segretezza del voto» per evitare di rispondere a chi gli chiedeva a chi avrebbe dato la preferenza al Senato. «Per non dover dire che vota Margherita. O forse che non la vota...», commentano in casa Ds.

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