Milano - Ma quanto è grande l’Abruzzo? Dai monti del Gran Sasso al mare di Pescara, l’Abruzzo è grande abbastanza da scuotere l’intero Pd, con due inchieste che già sul nascere promettono di finire in terremoto. Se un filo conduttore c’è, è l’appartenenza politica. C’è Guido Dezio, braccio destro del sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso e segretario regionale del Pd, agli arresti domiciliari per concussione. E ci sono 33 avvisi di garanzia, quattro dei quali ad amministratori pubblici dello stesso partito, accusati fra l’altro di disastro colposo e avvelenamento delle acque lassù a Bussi, fra il Gran Sasso e la Majella, dove ci sono i pozzi che dissetano, e da vent’anni avvelenano, qualcosa come 500mila persone.
Le mazzette di Pescara Lo hanno messo agli arresti domiciliari per due episodi di concussione. Hanno rigettato l’istanza di scarcerazione perché lo ritengono al centro di una rete di rapporti politici e imprenditoriali troppo fitta per pensare che non possa inquinare le prove. Guido Dezio è il segretario particolare del sindaco Luciano D’Alfonso, ed è il dirigente del Settore appalti del Comune. Era già finito nel mirino dei magistrati un anno fa, con l’accusa di aver falsificato gli attestati necessari a partecipare al concorso con cui venne assunto in Comune. Con lui, sotto inchiesta finì anche il sindaco. Il procedimento è ancora in corso. Adesso è accusato di aver intascato 10mila euro da una società di vigilantes, l’Aquila, per la proroga dell’appalto per la sicurezza interna del Palazzo di giustizia di Pescara. E di aver tentato di intascarne altri 20mila per far vincere la gara di gestione del bar interno allo stesso palazzo. Nell’interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere, spiega il suo difensore, Medoro Pilotti Aielli, che quel faldone di oltre 5mila pagine era troppo grande «per fornire risposte consapevoli». Agli atti c’è anche un database di 200 nomi che la polizia postale ha sequestrato a Dezio: accanto a ogni nome una cifra, e tanti nomi sono di imprenditori già coinvolti nel «Ciclone» di Montesilvano, lo scandalo tangenti che portò in carcere sindaco, assessori e dirigenti comunali.
Il partito dell’acqua Lo chiamano così perché qui l’acqua è business. L’avviso di conclusione indagini è arrivato ieri. Ma 500mila abruzzesi bevono veleno da vent’anni. Era il 1982 quando vennero aperti gli otto pozzi dell’acquedotto del campo di Colle Sant’Angelo. Collocazione infelice, a valle di un industria chimica targata Montedison. È il 2002 quando la multinazionale belga Solvay acquisisce per 600 milioni di euro lo stabilimento e rileva nel terreno sostanze nocive oltre i limiti. Da allora si sprecano analisi e denunce ambientaliste, sequestri e riaperture dei pozzi. Nell’acqua c’è di tutto, da cancerogeni come il tetracloruro di carbonio a mercurio al piombo, perché questa è la discarica abusiva di sostanze chimiche più grande d’Europa. Ma l’acqua non viene mai dichiarata non potabile. Adesso, dice la magistratura che i vertici dell’Aca, l’azienda consortile acquedottistica, e dell’Ato, l’Ambito territoriale ottimale, sapevano tutto. Fra 33 indagati, pubblici e di Montedison, ci sono Giorgio D’Ambrosio, presidente Ato, ex deputato della Margherita, sindaco di Pianella. Donato Di Matteo, presidente del cda Aca, consigliere regionale Pd. Bruno Catena presidente Aca, sindaco Pd di Città Sant’Angelo. Bartolomeo Di Giovanni direttore generale Aca.
Nell’avviso di conclusione indagini c’è scritto che hanno concorso a «cagionare un disastro ambientale di immani proporzioni», con «un’attività illecita di interramento e smaltimento» che ha causato «grave compromissione della salubrità pubblica», falsificando i dati relativi alla bonifica «e procurando ingiusto profitto a Montedison».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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