Tangenti rosse, la Serravalle inguaia Penati E adesso i pm indagano per corruzione

Per la Procura "ci sono gravi indizi sull’illiceità dell’operazione". E il reato non è prescritto. Sospetti anche su uno scambio di favori per l’Expo, Intanto l'ex presidente della Provincia avvisa Bersani: "Io non mi sono mai arricchito"

Tangenti rosse, la Serravalle inguaia Penati
 
E adesso i pm indagano per corruzione

Milano L’asfalto della Milano-Serravalle è bollente. Tassello dopo tassello, la procura di Monza e il Nucleo di polizia tributaria della Gdf stanno ricostruendo il grande affare della società autostradale. E ora è ufficiale. L’ipotesi di corruzione - nel passaggio delle quote dal costruttore Marcellino Gavio alla Provincia di Milano - è stata formulata. Un’altra grana per Filippo Penati, all’epoca presidente a Palazzo Isimbardi e promotore di quell’operazione multimilionaria. «Ci sono gravi indizi sulla base di dichiarazioni de relato - scrivono i pm Walter Mapelli e Franca Macchia - sull’illiceità della costruzione di un’operazione finanziaria per l’acquisto a prezzo fuori mercato di azioni comprensivo di un ritorno economico per i partecipanti all’operazione».

Eccola, la grana peggiore. Perché il passaggio di azioni è consumato nel 2005, e il ritorno di denaro illecito all’imprenditore Piero Di Caterina - attraverso una finta caparra immobiliare con il manager di Gavio, Bruno Binasco - solo nel 2008. Gli eventuali reati, dunque, non sarebbero ancora coperti dalla prescrizione.

Nei giorni scorsi, i finanzieri di Milano sono andati a perquisire Maurizio Pagani, responsabile del settore infrastrutture e finanza di Banca Intesa, ora indagato proprio per concorso in corruzione. Come salta fuori il nome di Pagani? Il funzionario avrebbe preso parte alle trattative intercorse fra i protagonisti dell’operazione Serravalle, nel corso delle quali sarebbe stata decisa la stecca da destinare a Penati. È Di Caterina - uno dei grandi accusatori dell’ex braccio destro di Pier Luigi Bersani, da cui rivendica la restituzione di 3 milioni e mezzo di euro - a raccontare di quegli incontri. Sono i «gravi indizi de relato» di cui parlano i pm. «Per convincermi ad aspettare, Penati mi disse che di lì a poco sarebbero arrivate delle somme consistenti. Mi riferisco all’affare Serravalle». Il 30 giugno 2010, Di Caterina presenta ai magistrati un documento che conterrebbe «il testo delle trattative che si sono svolte in relazione all’acquisto della Milano-Serravalle da parte della Provincia di Milano», e sarebbero state «oggetto di discussione presso lo studio del commercialista Ferruccio di Milano, nell’aprile del 2005». A quegli incontri «partecipavano Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani, e si è parlato di un sovrapprezzo da pagare a favore di Penati e Vimercati (Giordano Vimercati, ex capo di gabinetto del politico, ndr).

Tale importo era una percentuale del sovrapprezzo che la Provincia avrebbe pagato per ogni azione acquistata in virtù del pacchetto di maggioranza che veniva raggiunto». E che fine avrebbe fatto quella percentuale? «Penati - aveva spiegato Di Caterina il 21 giungo del 2010 - avrebbe ricevuto il suo guadagno a Montecarlo, Dubai e Sudafrica».
La cifra non è indicata, ma sempre a Di Caterina sarebbe stato riferito di «un importo molto rilevante per milioni di euro». Pm e finanzieri andranno ora a caccia di questi conti esteri. Ma intanto - attraverso nuovi interrogatori e perquisizioni, come quella a carico di Pagani - stanno ricostruendo l’altra storia della Milano-Serravalle. Quella che secondo l’accusa avrebbe procurato a Penati un cospicuo assegno con cui rimpolpare le casse del partito e il portafoglio privato, in cambio di una plusvalenza da 179 milioni di euro che permise a Gavio («lo incontrai nell’ufficio di Penati - dichiara ancora Di Caterina - per risolvere la questione della restituzione dei miei crediti») di entrare con 50 milioni nella cordata che con Unipol stava dando la scalata a Bnl.

Ma dalle carte emerge anche un altro fronte, fin qui rimasto ai margini delle indagini. Nel «sistema Sesto», infatti, rischiava di entrare anche Expo. Cosa accade? Che sul piatto delle trattative tra imprenditori e politici, a un certo punto, si tenta di mettere i terreni dell’Esposizione. A Di Caterina - che intendeva rientrare dei presunti versamenti effettuati in favore di Penati - viene fatto il nome dell’architetto Renato Sarno quale «persona con cui avviare una trattativa per risolvere la questione». E sarebbe stato proprio «Penati che mi indicò Sarno». L’architetto, quindi, avrebbe dovuto «seguire la mia vicenda e curare la soluzione del problema». Come? «Ho incontrato Sarno - mette a verbale l’imprenditore - per verificare la possibilità di inserire l’area Marelli (in cui Di Caterina aveva dei terreni, dopo una permuta che sarebbe stata fatta ad hoc) nel progetto dell’Expo 2015».

Insomma, Di Caterina avrebbe guadagnato dalla rivalutazione delle aree, e Penati «estinto» il suo

debito con l’imprenditore. Alla fine «non se ne fece nulla» anche se sponsor dell’operazione sarebbe stato proprio Palazzo Isimbardi. Perché «tutte queste proposte - conclude Di Caterina - furono promosse da Vimercati».

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