Gian Micalessin
da Gerusalemme
Meglio tardi che mai. Dopo un decennio di ruberie, corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici e internazionali la magistratura palestinese è pronta alla riscossa. Così almeno fa capire il procuratore generale dell'Autorità Palestinese Ahmed al-Meghani. Ieri mattina il procuratore ha convocato i giornalisti presenti a Gaza ed ha annunciato i risultati della prima vera indagine su malversazioni e distrazioni di fondi pubblici.
L'indagine basta da sola a chiarire le ragioni della disperata bancarotta palestinese. In pochi mesi di lavoro il magistrato, nominato a metà dello scorso anno, è riuscito ad accertare la sparizione di almeno 700 milioni di dollari e ad individuare almeno 50 casi di corruzione. L'indagine ha già portato all'arresto di almeno 25 funzionari governativi e all'emissione di almeno dieci mandati di cattura internazionali intestati ad altrettanti personaggi dell'amministrazione pubblica fuggiti all'estero. «Abbiamo indagato su diverse vicende. Gli accertamenti e i risultati emersi da una di queste inchieste dovrebbero portare a numerose incriminazioni già nei prossimi giorni» ha annunciato il magistrato, senza però fare nomi. A Gaza e Ramallah molti già scommettono sui nomi di alti funzionari e personalità pubbliche legate a Fatah e ai vertici dell'Autorità Palestinese. In questo mare di ruberie emerge anche il tentativo di metter mano su fondi donati dal governo italiano. Secondo il procuratore palestinese almeno due milioni di dollari donati dal nostro governo rischiavano di finire nelle casse di una società ideata per ingoiare gli aiuti internazionali e i fondi palestinesi destinati ad opere di irrigazione e alla costruzione di fognature.
La società nel mirino di Al Meghani si chiama Middle East Water Pipe Company e avrebbe dovuto costruire acquedotti e tubature nei territori palestinesi con il contributo finanziario del nostro governo. Secondo Al Meghani quel nome era solo uno specchietto per le allodole. La compagnia oltre a non aver mai posato una solo tubatura, non aveva nemmeno registrato ufficialmente la propria formazione.
Fonti della Cooperazione Italiana a Gerusalemme ascoltate ieri da il Giornale fanno notare che l'unico progetto riguardante posa di tubature, progetti idrici e fognari avviato dopo il 2000 riguardava la zona di Khan Younis nella Striscia di Gaza. «Quel progetto non è però mai arrivato alla fase di emissioni dei fondi» spiegano le stesse fonti. Eventuali distrazioni di soldi italiani effettivamente stanziati potrebbero dunque riguardare solo le donazioni distribuite da Cooperazione tra il 1995 ed il 2000 e destinati a progetti gestiti dall'Unrwa, l'agenzia dell'Onu incaricata degli aiuti ai palestinesi.
L'inchiesta avviata da al Meghani aveva già portato ai primi arresti a metà dicembre, ma sarebbe stata tenuta segreta su richiesta del presidente Mahmoud Abbas preoccupato per le eventuali conseguenze elettorali. Il rinvio non è bastato però a salvare Fatah travolta proprio dalle accuse di corruzione lanciategli dai fondamentalisti di Hamas e dalla voglia di cambiamento di un'opinione pubblica esausta e disgustata. I settecento milioni di dollari rincorsi dalla procura generale di Gaza rischiano di rivelarsi solo la punta d'iceberg della colossale sequela di ruberie susseguitesi in dodici anni di malgoverno. Altri illeciti riguardano la televisione palestinese, le società di monopolio responsabili delle importazioni di petrolio e tabacchi e l'apparato pubblico incaricato della gestione della sanità. Stando a voci non confermate, diversi esponenti di Fatah accusati di corruzione avrebbero già trasferito all'estero fondi per oltre 40 milioni di dollari e si preparerebbero a lasciare Gaza e la Cisgiordania. Le indagini del procuratore generale, incaricato dalla stessa Autorità Palestinese, rischiano però di rafforzare la popolarità di Hamas.
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