Cultura e Spettacoli

Tanti applausi e poco scandalo nel paradiso erotico di Lehnhoff

Alberto Cantù

da Salisburgo

Al solito tanto rumore per nulla. Non scandalizza alcuno la regia di Nikolaus Lehnhoff de I predestinati di Franz Schreker, anno 1918, messi in scena ieri l’altro al Festival di Salisburgo con pieno successo e nessun dissenso.
D’altronde, chi si scandalizza, oggi, per un travestito quando basta accendere la tv per subirne uno «di tendenza» come Platinette? Quale frisson possono dare delle ragazze in tanga, stivali e guantoni, usi come siamo alle scosciate ballerinette tv? Tanto più che ci troviamo nell’Isola di Elysium, il bordello da orge disegnato da Schreker: ambiente dove maglia della salute e pancera non sono certo abbigliamento idoneo. Quanto poi alle tre caste, inermi bambine (una era stata rapita) la cui nudità viene protetta da calzamaglie color carne, il rimando va semmai al tristissimo problema della pedofilia. Per capire l’angolazione di Lehnhoff occorre riassumere la vicenda secondo il libretto. Siamo nel ’500. Gobbo, deforme ma dai grandi occhi scintillanti, il nobiluomo Alviano Salvago ha creato una grotta, un paradiso erotico dove non ha mai messo piede per la propria bruttezza. Lo frequentano invece i viziosi della Genova Bene che compiono orge, rapiscono e stuprano fanciulle poi date per scomparse. Solo Carlotta, la pittrice, la grande artista, sa cogliere negli occhi di Alviano un animo puro. Ma l’innamoramento non dura. La donna si darà, nell’Elysium, al bruto Tamare dimenticando Salvago che, accusato ingiustamente di rapimenti e stupri, dopo aver ucciso il rivale, impazzirà. Morale: l’arte è un’illusione (anche Carlotta muore) e non può riscattare la diversità. Con Lehnhoff, Alviano perde la gobba e la sua deformità diventa un fatto mentale: il travestitismo, la nevrosi ossessiva, un desolato non vivere che diventa parvenza di vita dopo che una Carlotta quasi madre lo ha messo a nudo (resta in calzamaglia) mettendo a nudo anche la sua anima e lo accetta così com’è. A Salisburgo l’opera è data nell’ex Scuola per cavallerizzi dove l’infilata di archi di granito armonizza con la scena (fissa: Raimond Bauer), simbolo d’un mondo della disfatta: una desolata statua di pietra dalle sparse membra dove i personaggi si arrampicano e che contiene la grotta-bordello. Alla fine la testa gronderà sangue.
Applaudito più degli altri, il direttore Kent Nagano con l’impeccabile Orchestra tedesca di Berlino, mostra una sintonia assoluta col mondo di Schreker: modi flessuosi ed estenuati, accensioni ardenti, canto largo, trasparenze e preziosità decadentiste, una «bellezza timbrica» il tutto in rimando al Wagner del Tristano ma anche a Puccini con qualche spruzzata di Espressionismo e di un Impressionismo che chiameremmo «sentimentale».
La compagnia di canto è straordinaria. Il tenore Robert Brubaker è un Alviano incisivo e pure morbido, capace di restituire le sfumature psicologiche e i tormenti del personaggio. Il soprano Anne Schwanewilms, Carlotta, è limpida, sovranamente sicura negli acuti, alonata di fascino. Un torrente di bella e brunita voce, viene fuori con brutalità dal baritono Michael Volle, Tamare.

Speriamo che l’opera finisca in un cd colmando uno fra i tanti vuoti della discografia di Schreker.

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