Gli hanno prima dato del cinico, oltre che del baro, tanto per gradire. «Si è servito del Milan per guadagnare il consenso elettorale, adesso che non ha più bisogno, lo abbandona al suo malinconico destino». Gli hanno attribuito un paio di avviati negoziati con sceicchi o russi, a seconda della stagione, al fine unico di disfarsi di quella società presentata 24 anni prima «come un affare di cuore» e diventata «un costo insopportabile in tempi di crisi mondiale». Hanno addirittura promosso una raccolta di firme senza esito alcuno per spingerlo a cedere «il caro, vecchio, paralitico Milan» dimenticando i trofei e i trionfi collezionati in 20 anni, senza pari in giro per il mondo. Hanno persino accreditato lipotesi di un commissariamento in famiglia (il bersaglio preferito la figlia Marina) che di fatto gli impediva di finanziare le casse rossonere, rimaste a secco e per le quali fu sacrificato Kakà con una operazione che ancora oggi rappresenta un capolavoro di tempismo. Adesso che il Milan è uscito dal lungo tunnel nel quale era finito al ritorno da Yokohama 2007, invece gli hanno rivolto accuse di segno opposto. «Berlusconi ha ripreso a spendere col Milan perché vuole le elezioni» il giudizio meno velenoso e scontato.
Peccato che non sia accaduto nulla di tutto ciò. Come testimonia la frase del 18 maggio pronunciata a villa Gernetto: «Ser cè da fare un colpo non mi tiro indietro». La verità, declinata a bassa voce, è arrivata prima da Adriano Galliani e poi da Andrea Pirlo. A qualche giorno di distanza luno dallaltro, hanno spiegato la metamorfosi berlusconiana in modo didascalico: «Gli è tornata la passione per il Milan». Forse, un giorno, nella prossima primavera, se il trio delle meraviglie Ronaldinho-Ibra-Pato, dovesse riprendere a veleggiare verso qualche successo calcistico, i tifosi milanisti dovranno benedire lestate tempestosa del 2010, scandita dai veleni e dai tradimenti, dalle delusioni patite in politica dal presidente Silvio Berlusconi. È stato allora che è scattata ancora la scintilla, complice anche lintesa stabilita al volo con Max Allegri, il nuovo allenatore, successore di Leonardo e Ancelotti con i quali condivideva pochissime scelte, lamentandosene ogni volta. È successo quel che può accadere a un giovanotto uscito a pezzi da una delusione damore con moglie, o fidanzata o compagna: istintivo il ritorno a casa, da papà e mamma, a caccia di coccole e di solidarietà. Il Milan ha avuto questo effetto terapeutico per il premier che ha così ricucito lo strappo con la maggioranza del popolo rossonero, depresso in egual misura dagli scarni risultati degli ultimi tre tornei, dai modesti investimenti sul mercato e dai sontuosi successi di conio interista. Tutto dimenticato, cancellato, ricomposto. Come hanno testimoniato gli striscioni apparsi sulla balconata di San Siro domenica notte per larrivo di Ibrahimovic, seguito poi da quello di Robinho. E, attenzione, senza compiere follie, senza strapagare le due stelle, anzi provocando qualche mal di pancia nella concorrenza, a causa delle cifre al ribasso sborsate per lo svedesone (24 milioni in tre rate) e per il brasiliano (18 milioni più bonus dallestate del 2011).
La testimonianza solenne della nuova passione sbocciata per il Milan, confermata dalle parole di Pirlo («è tornato a farsi vedere e sentire nello spogliatoio di San Siro» la frase simbolica), è rappresentata dal colloquio avvenuto con Galliani a poche ore dalla chiusura del calcio-mercato, quando è saltato il trasferimento di Borriello alla Juve e Robinho era in anticamera in attesa di firmare il proprio contratto. «Firma, Adriano, firma: non fa niente se Borriello resta» lincoraggiamento giunto da Arcore. Alla fine i conti del bilancio sono rimasti intatti. Anzi, qualche risparmio cè stato.
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