MilanoLa Procura di Milano prova a mandare in galera Calisto Tanzi: ma non è detto che ci riesca. Anzi, il tentativo - effettuato in totale segreto alla metà dello scorso luglio - di richiudere in cella il bancarottiere di Parmalat è già andato a sbattere contro un secco diniego: i giudici della Corte dappello, gli stessi che un paio di mesi prima avevano condannato a dieci anni di carcere lex Cavaliere del lavoro, hanno respinto al mittente la richiesta di arresto. La Procura generale però non si arrende, e ricorre al tribunale del Riesame, che ieri convoca ludienza: così diventa di pubblico dominio la battaglia tra magistrati che si sta combattendo intorno alla sorte del protagonista del più eclatante scandalo economico e finanziario degli ultimi anni, il crac che alla fine del 2003 inghiottì i risparmi di decine di migliaia di risparmiatori.
È uno scontro, quello sulla sorte di Tanzi, dove è facile immaginare (e i giudici ne sono perfettamente consapevoli) da che parte sia destinata a schierarsi lopinione pubblica. La paradossalità della situazione di Tanzi - condannato a dieci anni per aggiotaggio, candidato ad altri ventanni per bancarotta, eppure destinato quasi certamente a evitare la galera in virtù delletà avanzata - è sotto gli occhi di tutti. La scoperta dei Van Gogh nascosti nelle cantine del genero, scampolo di un tesoro nascosto chissà dove, non ha fatto che aumentare lindignazione nei confronti del bancarottiere, delle sue proteste di pentimento e della sua sostanziale impunità.
Il 15 luglio la Procura generale di Milano chiede larresto di Tanzi. Tanzi può scappare, scrive la Procura, e può continuare a fare danni. Ma la Corte dappello di Milano, sfidando limpopolarità, il 17 luglio dice di no alle manette chieste dalla Procura. Se Tanzi non è scappato finora, dicono in sostanza i giudici, non si vede perché dovrebbe farlo adesso: «La Corte si rende ben conto della particolarità degli addebiti a carico del Tanzi, del ruolo dallo stesso rivestito nella vicenda e dalla possibilità che limputato possa godere di risorse finanziarie che possano agevolarne la fuga». Però «non può non ricordarsi come Tanzi sia stato scarcerato sei anni orsono per decorrenza dei termini e in tutto questo periodo non abbia dato adito a rilievi di sorta, pur godendo dei medesimi mezzi finanziari». E «lirrogazione di una pena detentiva di notevole entità non è di per sé sola sufficiente a integrare il concreto pericolo di fuga della persona che ne è destinataria». Ancora: «normalmente prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna ogni imputato rimane in stato di libertà». E lo stesso vale anche per Tanzi, nonostante tutto: «tanto più nei confronti di un soggetto che per le condizioni personali (ultrasettantenne) potrebbe in sede esecutiva godere della detenzione domiciliare». Tradotto: il carcere preventivo non può diventare un surrogato dellespiazione della pena per chi in carcere è destinato a non finirci.
Ma la Procura non si arrende, e alla fine di luglio impugna il diniego della Corte dappello. Scrive il pg Maria Elena Visconti: «Leccezionalità delle esigenze cautelari è evidente vista la estrema gravità degli illeciti, la diffusone sociale delle loro conseguenze nonchè la comprovata capacità dellimputato di penetrare e corrompere i gangli finanziari e istituzionali», scrivono i rappresentanti dellaccusa. E contestano ai colleghi della Corte dappello di non avere preso in considerazione «i collegamenti ad alto livello, anche allestero (grazie alla fitta rete di relazioni nel mondo finanziario, bancario e istituzionale che ha consentito a Tanzi di operare per oltre un decennio fuori da ogni regola), lambigua condotta di Tanzi durante le indagini quando poco prima dellarresto di recò in America Latina per uno scopo mai chiarito».
E dunque: Tanzi in galera oppure no? Il tribunale del Riesame impiegherà qualche giorno a far conoscere la sua decisione. Ma se anche fosse negativa per lex Cavaliere, le manette non potranno scattare prima che anche la Cassazione abbia detto la sua.