«Per me Stefano Tanzi e tutta la famiglia Tanzi sono delle brave persone. Gente umile». Nel piccolo coro di indignazione, sberleffi e incredulità che sul blog della Gazzetta di Parma suscita la notizia del giorno - Stefano, il figlio del Cavalier Tanzi, uno dei complici del disastro, che riesce a farsi riconoscere dalla Parmalat un risarcimento di centottantamila euro - sarebbe sbagliato trascurare quell’unico messaggio che rema controcorrente. E che dice che, nonostante tutto - le bugie vergognose, gli eserciti di imbrogliati, i quattrini che ancora non si sa che fine abbiano fatto -, beh, a Parma ancora qualcuno rimpiange l’epoca aurea in cui regnavano i Tanzi, al Tardini si combatteva per lo scudetto e a Collecchio arrivavano in processione i grandi del Paese.
Non si spiegherebbe altrimenti, d’altronde, come Stefano Tanzi abbia avuto il coraggio di avanzare - e tre giudici la gentilezza di accogliere - la richiesta di essere ammesso tra i creditori privilegiati della Parmalat: cioè della stessa azienda che il giovane Tanzi ha contribuito a dissanguare metodicamente per un decennio, mentre il babbo Calisto, i suoi consiglieri e mezzo mondo bancario italiano costruivano il castello di carte che alla fine del 2003 travolse, insieme all’azienda, i risparmi di decine di migliaia di risparmiatori grandi e piccoli.
Di quel disastro, dicono tre sentenze passate in giudicato, il giovane Tanzi fu complice e beneficiario. Eppure questo non impedisce che Stefano Tanzi - attraverso i suoi legali Stefano Andreoli e Renzo Costi - chieda alla nuova Parmalat, all’azienda faticosamente risorta dalle ceneri di Collecchio, una montagna di soldi. Ne aveva chiesti ancora di più. Il tribunale di Parma gliene ha riconosciuti centottantamila. Crediti privilegiati. Soldi, cioè, che Stefano Tanzi potrà intascare sorpassando i creditori ordinari. Motivo: è la liquidazione per gli anni di duro lavoro prestati da Tanzi junior a Collecchio, fino a quel 21 gennaio 2004 in cui - mentre suo padre e Fausto Tonna, direttore finanziario, erano in carcere a Milano - tutti i familiari del Cavaliere vennero costretti ad abbandonare i loro posti.
La carica ricoperta da Stefano Tanzi era quella di direttore commerciale e amministrativo della capogruppo Parmalat Spa, e già questo lascia intuire che non potesse essere all’oscuro dei pasticci del papà. Era anche presidente del Parma Calcio, e anche questo qualcosa fa supporre, visto che proprio nella squadra confluiva una quota non irrilevante del fiume di soldi sottratto alle casse di Collecchio. Ma se questo non bastasse, a spiegare come Tanzi junior svolgeva la funzione per cui ora pretende di essere generosamente liquidato, ci sono i verbali di Alessandro Bassi - il contabile di Collecchio che dopo l’interrogatorio si ammazzò lanciandosi da un ponte - che poco dopo fecero scattare le manette anche per lui: l’accesso ai conti veri, quelli che rendevano evidente il disastro, secondo Bassi «l’avevano Tonna, Del Soldato e Stefano Tanzi». E lo stesso Tonna spiegherà che alle riunioni in cui il cavalier Calisto ordinava di andare avanti a truccare i conti c’era sempre anche il figlio.
Come il protagonista di una simile carriera possa ora ottenere di passare da vittima e incassare un risarcimento a cinque zeri si spiega solo, secondo un altro dei blog arrivati alla Gazzetta, con la constatazione che «il crimine paga». Ma l’aspetto più straordinario è un altro. Ormai Tanzi junior ha chiuso i conti con la giustizia: trenta giorni di lavori socialmente utili in Svizzera, un anno e undici mesi a Milano, quattro anni e dieci mesi a Parma.
Ma le sentenze italiane sono tutti patteggiamenti, ottenuti dal giovanotto senza dover garantire un euro di risarcimento alle vittime. E siccome un patteggiamento non è una condanna, sui centottantamila euro concessi a Tanzi junior il popolo dei bidonati non potrà avanzare pretese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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