Taralli e tabarri L’esteta Langone alla ricerca dei gusti perduti

Quanto sia desiderabile il paese di Bengodi, ove fiumi di vernaccia attraversano le valli e da montagne di parmigiano grattugiato rotolano maccheroni e ravioli, non è solo Boccaccio a raccontarlo, nella novella Calandrino e l’elitropia. Da oggi un altro Bengodi arriva a titillare i piaceri dei lettori-sognatori. È un Bengodi contemporaneo, un surreale itinerario di piaceri tracciato dentro un’Italia tanto reale quanto incompresa. A narrarlo è una delle penne più puntute del giornalismo nostrano, Camillo Langone, che da tempo, dalle colonne del Foglio, scrive di arte, enogastronomia e liturgie... Bengodi (Marsilio, pagg. 236, euro 16) non è un libro sulle tradizioni né sul made in Italy né tanto meno su prodotti dop, doc e presidi slow food. È invece, scrive Langone, un personalissimo «catalogo di possessi esclusivi, che mi rendono fino in fondo me stesso e quindi unico». Narrandoci il suo Bengodi di identità e voluttà, il cui sottotitolo «I piaceri dell’autarchia» va inteso come gusto «d’indipendenza culturale», Langone accompagna i lettori alla scoperta dei suoi cibi preferiti e dei suoi vini più amati. Tenendo fede al detto di Baltasar Gracìan, secentesco autore del primo vero trattato di «critica alla critica», Langone vaga per l’Italia guidato solo dal suo gusto, «perché il gusto, se è vero gusto, è gusto sicuro», non perdendo occasione per stilettare mode e pose deteriori dei nostri anni. Perché mangiare kebab se si possono gustare tortelli di zucca? Perché attardarsi dietro un misero cuscus se si può addentare una fetta di mortadella di Campotosto? Pericoli del multiculturalismo che abdicando all’identità cedono il passo a pericolose «iniziative di disintegrazione».
Alla ricerca dell’eccellenza del piacere, ma confortato dalla propria sicurezza nel giudizio, Bengodi cita un’opera del 1966 (molto ambita dai bibliofili per la sua rarità) di Gino Veronelli: Alla ricerca dei cibi perduti. Gentiluomo di gusto e di lettere, Veronelli suggeriva un percorso alla scoperta di piatti dimenticati: i salumi d’oca, i missoltini, le rane. Il Bengodi di Langone ribatte non limitandosi a suggerire lampascioni, taralli e strolghini. Consiglia anche sigari, biciclette e tabarri, perché lo stile non passa solo per ciò che si mangia. E dopo tanto peccaminoso piacere, pensando pure alla salvezza dell’anima, Langone segnala validi approdi ove poter acquistare icone, organi a canne e presepi.
A scandire le tappe del «viaggio» è lo stile tipico di Langone.

Il fraseggio, ellittico e allucinato, contribuisce all’approdo alla dimensione di Bengodi. Un libro gaudente che non è una guida. Un invito a percorrere i propri itinerari di stile, meglio se (suggerisce Langone) con donne piacenti e lussuriose.

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