Il tormentone va avanti. A Napoli, assicura il procuratore Giovandomenico Lepore, «non c’è nessun trappolone contro Berlusconi». Però gli stessi magistrati non hanno alcuna intenzione di abbandonare l’indagine sul premier: «Un’inchiesta - prosegue nemmeno troppo sibillino Lepore - che si è arricchita di elementi nuovi durante il suo cammino». Così, se le voci che s’inseguono sono giuste, già oggi o domani il Cavaliere potrebbe essere iscritto nel registro degli indagati per aver indotto Gianpi Tarantini a raccontare il falso. È davvero una storia fuori misura quella del presunto ricatto orchestrato da Tarantini, dalla moglie e da Walter Lavitola contro il presidente del Consiglio. Per giorni e giorni i pm di Napoli, guidati da Lepore, hanno spiegato che Berlusconi era vittima di un’estorsione e per questo volevano sentirlo come parte lesa. Il Cavaliere però aveva fiutato il trappolone e si è rifiutato di deporre, anche quando Lepore ha fatto balenare l’ipotesi estrema dell’accompagnamento coatto.
Poi, a sorpresa, il gip ha riconosciuto quel che gli avvocati sostenevano fin dall’inizio: Napoli con i pagamenti non c’entra niente e dunque la competenza è di Roma. Fine dello psicodramma? Assolutamente no, perché il trappolone c’è ancora, anzi in giro ce n’è più d’uno. L’indagine di Napoli, che a sua volta riprende quella di Bari, potrebbe riprendere con un colpo di scena: il premier non più parte lesa, ma sotto inchiesta. A Napoli si sono convinti che Tarantini dica un sacco di bugie su input del premier e hanno deciso di non mollare la presa. Competenza o non competenza, non importa. A Roma si indagherà sul ricatto al Cavaliere. E sempre nella capitale Tarantini e il capo del governo potrebbero essere indagati in un altro filone per corruzione, perché il premier avrebbe aiutato l’amico sulla strada degli appalti di Finmeccanica. Insomma, l’indagine è tutt’altro che chiusa, anzi raddoppia fra Roma e Napoli e Berlusconi potrebbe battere un altro primato: trovarsi contemporaneamente nelle vesti di vittima e di indagato. Un bel rompicapo che potrebbe essere formalizzato nelle prossime ore: si aspetta la decisione del tribunale del riesame sulla scarcerazione di Tarantini, poi si vedrà.
Lepore dunque si tiene sul vago e, soprattutto, lascia aperte tutte le porte: «Non siamo aggrappati ad alcuna indagine - spiega in un’intervista a Repubblica - né innamorati dell’inchiesta come sostiene qualcuno». Ovvero gli avvocati del premier. Di più: «La procura di Napoli - aggiunge Lepore - come gli altri uffici inquirenti d’Italia, non lavora per tendere trappole o trappoloni. Non agiamo per ingannare il prossimo. E mi addolorano le continue critiche nei confronti dei colleghi Woodcock, Curcio e Piscitelli». Però poi il procuratore fa capire che la tenaglia potrebbe chiudersi sul Cavaliere: «Valuteremo dopo la decisione del Riesame. Durante la discussione in udienza i colleghi hanno sviluppato tutte le ipotesi e affrontato tutti gli scenari di una vicenda che è stata caratterizzata da più fasi e di un’indagine che si è arricchita di elementi nuovi durante il suo cammino». Quegli elementi che permetterebbero ai pm campani di tenersi ben stretto il fascicolo, o almeno una sua parte.
Per Lepore è tutto a posto, tutto corretto, tutto sui binari della legalità. Semmai, è Berlusconi che non si è comportato a dovere: «Non posso dire che abbia mostrato un atteggiamento di leale collaborazione nei nostri confronti». E allora avanti, come e più di prima. Le indagini sul premier non finiscono mai. Quella iniziale di Bari è diventata un poker di fascicoli: da Bari a Napoli.
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