TASCABILI I piccoli che hanno più voce in capitolo

Il pocket book viene dall’antica cultura degli stampatori, dal genio di Aldo Manuzio che per primo s’inventò i formati in ottavo e sedicesimo

Si chiamano paperback o tascabili. Le due parole non sono sinonimi, ma cercano di rendere la stessa idea. La prima è tutta a stelle e strisce, figlia delle grandi rotative meccaniche a vapore. Copertina leggera, colla e niente legatura, un libro nato per essere divorato e sfasciato. Dire chi l’abbia partorita, nello spumeggiante mondo dell'editoria americana, è difficile: molti accreditano la Pocket Books che, nel 1939, lanciò in questa forma i suoi primi 10 titoli. Tascabile, invece, viene dall'antica cultura degli stampatori europei, è l’eco d’un tempo in cui il costo dei libri si misurava soprattutto a dimension di pagina, di carta e inchiostro consumato. Tant’è che il genio dei torchi veneziani, Aldo Manuzio, per primo si inventò libri in ottavo e in sedicesimo, la cosa più maneggevole che i librai del primo cinquecento avessero mai visto circolare.
In entrambi i casi il concetto di fondo resta lo stesso, libri per tutti, a basso costo, per far felici lettori che non abbiano voglia di sgonfiare troppo il portafoglio, magari già all’origine non troppo cicciottello. Questo tipo di pubblicazione, che non disdegna l’edicola, è diventata ormai da anni il pezzo forte, per incassi e diffusione, dell’editoria inglese e francese. Nel mercato italiano, dotato di meno lettori e di una particolare struttura editoriale, il suo andamento è stato più discontinuo, segnato da successi e improvvise stagnazioni.
La quota attuale di vendite si aggira su percentuali che possono oscillare tra il 30 e il 35% del mercato, molto meno del 50% fatto registrare dai nostri cugini d'Oltralpe. Soprattutto, come ricorda Stefano Mauri del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol: «È un settore caratterizzato da forti ondulazioni, soprattutto legate ai bestseller che escono in economica. L’uscita di un grande titolo crea delle impennate che poi si spengono. È un fatto legato al numero più ristretto d’acquirenti». In generale poi, secondo Mauri una grossa differenza rispetto all’estero resta quella della lunga durata nelle vendite del rilegato di «vertice». Alcuni titoli in copertina rigida resistono molto a lungo e, in quel caso, l’editore non sente la necessità di passarli in collane di minor pregio. Esisterebbe meno anche la tendenza degli editori a cedere a gruppi esterni, specializzati, la pubblicazione dei propri titoli. «Anche case medio piccole se hanno 40-50 titoli preferiscono investire in una propria collana economica».
In un contesto di questo tipo le strategie editoriali allora possono diventare le più varie. Ci sono editori che battono la via del supereconomico come la Newton Compton, editore di dimensioni medie che dalla fine degli anni ’70 ha fatto del paperback il suo cavallo di battaglia. Raffaello Avanzini, vice presidente della Newton, nonché figlio del fondatore, spiega che la politica della casa è caratterizzata da scelte di lungo respiro: «Il punto di partenza per l’economico è un catalogo ampio. Molti titoli vanno però scelti in modo da poter restare sul mercato per anni». Insomma uno zoccolo duro formato da classici, che non gravino dal punto di vista dei diritti, e tirature molto ampie che comportano all’editore di avere una forte capacità di magazzino. La scommessa è quella di abbassare ulteriormente i prezzi, seguendo la politica che fece fare un grosso boom editoriale alla Newton nei primi anni ’90, quando cavalcò l'onda dei libri in edicola a mille lire. Diverso ovviamente resta l’approccio dei gruppi più grandi, con la necessità di muovere in parallelo più cataloghi, ad esempio Mondadori con la sua collana Oscar, quasi una casa editrice dentro la casa editrice. Oppure Rizzoli, Feltrinelli, Longanesi.
Lino Apone direttore commerciale di Feltrinelli, spiega che per lui la grande scommessa dell’economica, per cui gli anni dell’espansione enorme sono alle spalle, è soprattutto quella «di mettere in atto una politica antinflazionistica, cosa per cui mi batto da anni per quel che ci riguarda» e di «mettere assieme un offerta di libri riconoscibili». Questo sia per l’intrattenimento che per la narrativa, con delle «puntate» anche nell'ambito della saggistica, per quei libri che hanno uno spazio nell'ambito della divulgazione. Un’idea a cui si coniuga quella di replicare la tiratura con un modello just in time piuttosto che affidarsi a grossissimi depositi, quella che, scherzando, Apone chiama «salute a breve». Idee che vanno a lambire un settore in pieno sviluppo, quello che potremmo chiamare il paperback colto o di pregio.
Con il cambio del modello universitario, che ha portato allo snellimento dei programmi, si è reso appetibile per gli editori il settore dei librini colti che occhieggino agli atenei. Un ambito in cui si è mosso per tempo Il Mulino. Da prima ha preso il via una collana Paperback poi, ci racconta Ugo Berti responsabile delle relazioni esterne, a partire dal 1997 hanno dato vita ad una collana intitolata «Farsi un’idea». Centotrenta titoli «pensati in casa» e sottoposti ad un forte lavoro di editing. «L’idea è quella del libro di base, non del riversamento da altre collane». I prezzi ovviamente sono contenuti anche se si è lontani dal paperback tradizionale, in cui la maggiore attrattiva per il lettore era tanta carta a pochi euro. Qui premia soprattutto il concetto di tascabilità della cultura. Una linea su cui si muovono anche altri editori, da Laterza a Bollati e Boringhieri. Tra l’altro si tratta di un settore con tendenze più stabili di quelle delle narrativa, dove non è così necessario forzare le tirature per le uscite. Una situazione che ha portato editori come Feltrinelli a creare collane dedicate alla saggistica che, pur stando nell’ambito dell’Universale Economica, marcano la loro specificità e attirano il lettore con la loro serialità. Le strategie degli editori però non sono le uniche ad influenzare il mercato, attorno al tascabile ruotano altri fattori che vanno dalla sua collocazione in biblioteca, alla concorrenza degli allegati dei giornali alla questione delle percentuali degli autori.
La differenza tra il tascabile nostrano e quello straniero si gioca anche nell’ambito della collocazione in libreria. I librai italiani sono stati a lungo restii a collocarlo in posizioni di alta visibilità. Racconta Romano Montroni, docente alla Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri e grande animatore della libreria.coop, che si tratta di un preconcetto di antica data non ancora andato in cantina. «Quando uscirono i primi Oscar Mondadori i librai respingevano i pacchi... perché costavano troppo poco. Dicevano che inquinavano il mercato». Lui invece predica che il paperback deve essere il cavallo da tiro delle vendite, quello che consente di tenere in scaffale tutto il resto.
Non è l’unico problema irrisolto. In Italia proliferano i libri dati in allegato coi giornali. Se questo influenzi le vendite delle collane economiche è questione aperta, su cui non c'è uniforme veduta nemmeno tra gli addetti ai lavori. L'impressione però di Luigi Sponzilli, al comando del gigante del paperback, l'Oscar Mondadori, è che per il momento abbiano solo eroso il mercato tradizionale, lasciando dubbi sulle evoluzioni future: «Se avessi la possibilità di prevedere gli andamenti dei prossimi anni sarei veramente felice. Per il momento stiamo sviluppando nuove collane come la P.B.O. che diano spazio agli originals, alle nuove uscite». Quella stessa tendenza che supporta il low-cost all'estero. Tant’è che Oscar Mondadori conta ormai cento originals all'anno e che altre case si muovono nello stesso senso.

Qui però a gettare un monito è un noto agente letterario come Marco Vigevani: «Se il fenomeno da spazio ad autori giovani benissimo. Se funziona solo per lanciare autori affermati pagandoli meno non è detto faccia bene alla cultura...».

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