da Milano
Più centralismo uguale più tasse. L’equazione è di quelle che non lasciano scampo. Tra i grandi Paesi di Eurolandia, l’Italia si piazza agli ultimi posti in materia di federalismo fiscale. Nel Belpaese infatti, su 100 euro di entrate tributarie, 78,1 vanno allo Stato centrale e solo 21,9 agli enti locali. In termini reali, su 432,1 miliardi di euro di gettito complessivo registrato nel 2006, 337,4 vanno all’erario, mentre alle amministrazioni locali ne restano 94,6.
Ma la verità è ancora più amara e preoccupante: «C’è una corrispondenza lineare e diretta tra il livello di centralismo e la pressione tributaria: più il prelievo fiscale resta al centro, più aumenta rispetto al Pil (Prodotto interno lordo, ndr) la quantità di imposte, tasse e tributi versati dai contribuenti». Giuseppe Bortolussi, direttore della Confederazione generale italiana dell’artigianato, riassume così i risultati di uno studio a cura dell’associazione di Mestre che privilegia le cifre e i riscontri concreti alle teorie politiche. «Purtroppo - continua Bortolussi - la relazione tra centralismo e pressione fiscale innesca un circolo vizioso che si traduce in maggiori costi della macchina burocratica e minore efficienza dello Stato. Chi paga, ovviamente, è Pantalone».
Per avere più chiaro il quadro della situazione, andiamo a vedere cosa succede in casa dei nostri vicini, che sul mercato sono anche i principali competitor del sistema Italia. In Spagna, la distribuzione delle entrate fiscali vede 53,9 euro su 100 fermarsi nelle casse centrali, contro 46,1 che finiscono direttamente alle amministrazioni territoriali. In Germania, Stato federale dalla fine della Seconda guerra mondiale, è ancora meglio, con 49,2 euro su 100 gestiti da Berlino e 50,8 in mano ai land. Infine anche la Francia, stato centralista per antonomasia, ci riserva una brutta sorpresa: a fronte di 59,6 euro di entrate fiscali che restano nelle casse dello Stato, 40,4 vengono redistribuiti tra le amministrazioni locali e gli enti di previdenza dei lavoratori.
Insomma, per l’Italia è una vera e propria strapazzata. Ma la situazione si fa ancora più nera se traduciamo in cifre l’equazione di partenza. Infatti, rispetto a un centralismo fiscale pari al 78,1, subiamo un gettito tributario sul Pil pari al 29,2%, contro il 23% della Germania, il 24,5% della Spagna e il 27,4% della Francia. «Il dato francese è particolarmente interessante per noi - commenta Bortolussi - perché la Francia, pur essendo uno Stato centralista come l’Italia, dimostra di funzionare meglio e di costare meno. Se vogliamo, l’uovo di Colombo è proprio questo: nei Paesi dove il centro incassa meno, le tasse sono complessivamente più basse, e dove è più decentrata la spesa, la macchina dello Stato, cioè la burocrazia, costa meno ed è più efficiente». Così, se ai tedeschi lo Stato costa il 7,2% del Pil con un trend in diminuzione, a noi italiani costa l’11%, con un trend in crescita: una differenza che vale qualcosa come 62 miliardi di euro l’anno.
La conclusione, per Bortolussi, più che semplice è ovvia: «Il federalismo non è una teoria: è un dato di fatto. E a proposito di tagli, la classe politica, in particolare chi ha responsabilità di governo, dovrebbe tenerne conto, indipendentemente dagli schieramenti».
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