Politica

Tasse e tagli: si cambia di nuovo

Se c’è una cosa che il governo non si può più permettere è procedere con un passo avanti e uno indietro. Anzi, diciamo meglio: non deve darne financo l’impressione. Se c’è un momento in cui non se lo può permettere è questo. Ieri il presidente del Consiglio ha detto che la manovra è da rivedere. Soprattutto nella parte che riguarda i tagli alle Regioni. È inutile girarci intorno: il premier questa manovra non l’ha mai sentita completamente sua. Anche se ritiene indispensabile farla. Perfetto, siamo con lui. Ma che non finisca in farsa, come per l’abolizione delle province. Abbiamo già scritto su queste colonne che la manovra fiscale pensata dal ministro Tremonti ci piaceva così così: troppo fisco, nascosto tra le sue pieghe, e pochi interventi di contenimento della spesa pubblica strutturali. La manovra vale 25 miliardi di euro per i prossimi due anni, di cui 8,5 miliardi riguardano tagli alle Regioni. L’Europa ha molto apprezzato questi numeri anche alla luce del fatto che in questi due anni siamo stati abbastanza rigorosi. Partivamo da un gradino di classifica molto basso, abbiamo recuperato solo perché gli altri paesi europei precipitavano.
Se il premier riuscisse a migliorare la manovra, magari depurandola anche da alcuni suoi eccessi di polizia tributaria, sarebbe benedetto. Ma se la dichiarazione di ieri fa solo partire un balletto di rivendicazioni spendaccione, o un orgia di ritardi e rinvii, tanto vale tenersi, con i suoi difetti, la manovra già approvata. Banale, no.
Il caso delle regioni è lampante. Stanno facendo un gran baccano, lamentando l’eccessiva onerosità dei tagli che le riguardano. Togliete una lira anche a Paperon de’ Paperoni e quello si arrabbia. Sulla riduzione della spesa pubblica assistiamo allo stesso effetto Nimby delle grandi opere pubbliche: tutti le vogliono, ma lontano da casa. Il filo del ragionamento regionale è simile: si tagli dove si spreca e non nel nostro cortile. E sì, bella idea. La «rozzezza» della manovra fiscale di tagliare in modo orizzontale senza grandi distinzioni non ci dispiace. Da queste parti l’idea di affamare la Bestia (cioè lo Stato, nelle sue diverse articolazioni) vince su quella meno rigorosa di metterla a dieta. Si affami pure. Certo che alcune incongruenze le capiamo anche noi. La regione Lombardia negli ultimi due anni, caso più unico che raro, ha ridotto la sua spesa corrente di circa il 10 per cento. E il Veneto l’ha aumentata di poco. Accanirsi sui virtuosi è come togliere la zuppa ad un inappetente.
Se Berlusconi sarà in grado di modulare i tagli sul merito, rendendo la manovra più generosa con le Regioni virtuose, e più avara con quelle spendaccione, ben venga. Altrimenti si rischia solo di far sballare i conti finali, e ci si riduce come al solito a recuperare i quattrini direttamente nelle tasche dei cittadini. Una cura peggiore del male.
Vedremo come Berlusconi se la caverà. Ma il terreno su cui si sta muovendo è molto scivoloso. Il governo si è recentemente ficcato in una tale serie di pasticci, che si rischia di aprire un nuovo fronte. Il gioiello della Protezione civile, che un risultato a casa lo portava sempre, è in mezzo ad indagini giudiziarie che non sembrano campate in aria. La legge sulle intercettazioni, il bavaglio lo ha messo solo all’attività dell’esecutivo. Il ministro Brancher non si è ancora capito che ministro sia, ma si è capito perfettamente a cosa puntasse. E la Lega, un tempo almeno lei monolitica, si mette a litigare anche al suo interno. Insomma, in un clima di questo tipo il premier non deve commettere neanche un passo falso. Soprattutto quando si tratta di quattrini.

Non si scherza con la gente, con l’Europa e con Tremonti.

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