Tav, la sinistra ha mostrato il suo vero volto

Per la faccenda Tav, i sindaci della valle andati a Roma a perorare la causa delle popolazioni, non hanno fatto un viaggio inutile. Hanno parlato con mezzo governo, hanno esposto le loro ragioni, e hanno strappato qualche successo tattico: al momento i lavori sono sospesi, il governo ha rinnovato i suoi impegni sugli esami preliminari dei terreni che saranno percorsi dalla galleria, è stata annunciata una Commissione tecnica chiamata a garantire sulla tolleranza degli effetti ambientali.
I sindaci hanno cercato a loro volta di spiegare a valligiani e capipopolo piombati in Val di Susa i risultati del loro lavoro, ma non hanno ottenuto la stessa udienza rispettosa riservata loro a Roma. Le accoglienze dei valligiani sono state fredde, in qualche caso ostili, si sono ascoltate grida di venduti, venduti. I sindaci per primi hanno potuto constatare, se ancora non lo avevano capito, come l'opposizione si nutre di preoccupazioni ragionevoli, che potrebbero essere superate da un confronto leale, ma anche di pregiudizi frutto di ignoranza e di quel genere di pregiudizi più duri a morire perché effetto di una predicazione politica e ideologica, rafforzata in queste settimane di scontri da gruppi che hanno scelto la Val di Susa per una sorta di test rivoluzionario da imporre al governo e allo Stato. Sono gruppi di no global, centri sociali, esponenti e parlamentari dell’estrema sinistra che hanno finito per diventare nelle assemblee i veri interlocutori dei sindaci e quindi del governo e dello Stato.
Lo stesso ritiro delle forze di polizia, attuato dal governo come mezzo per raffreddare le tensioni, si è trasformato nella richiesta di una «smilitarizzazione» che sarebbe, ove accettata, il segno della resa dello Stato dinanzi a spinte che per ciò stesso finirebbero per assumere aspetti eversivi.
Non è una situazione facile, nella quale esiste tuttavia qualche aspetto positivo. Nella popolazione si avvertono segni di stanchezza, e di saggezza, che si faranno sentire man mano che si paleseranno i costi, in termini di turismo soprattutto. Un elemento positivo importante è che i rappresentanti delle istituzioni più rappresentative, la Regione, il Comune di Torino, le Province, hanno confermato la loro volontà di dare avvio ai lavori, di finalizzare il confronto al modo migliore di realizzare l'opera, accettando il rischio e il peso dell’ostilità dei gruppi estremisti.
Quel che è successo nell’ultimo mese, tuttavia, non può essere ignorato e cancellato. L'intervento delle forze dell’ordine per garantire l’accesso ai cantieri in Val di Susa ha contribuito a chiarire dinanzi all’opinione pubblica la natura reale dei contrasti che da settimane bloccano i lavori della Tav. La reazione della sinistra, di quella che si oppone per un riflesso che è insieme ribellistico e conservatore, era prevedibile. Lo era meno quella della sinistra, che ha mostrato segni di cedimento dinanzi alla pressione degli estremisti. E il cedimento c’è stato proprio allorché le forze dello Stato hanno preteso di por fine a barricate, interruzioni di pubblici servizi, a una patente illegalità tesa a opporsi con mezzi non leciti e violenti a un'opera decisa dall'Unione Europea e dal governo italiano.
Ogni volta che un’opera pubblica pur necessaria colpisce interessi locali, o privati, si ricorre a ogni mezzo, più spesso illecito, per impedirne l’attuazione. Si tratti di costruire un inceneritore, di individuare un sito per rifiuti tossici, di una bretella stradale, il repertorio è il medesimo: blocchi stradali, barricate, chiusura di accessi a porti o ad aeroporti, tutto è stato ritenuto lecito per ottenere l’obiettivo perseguito, che ha come prezzo quello di infliggere un danno alla collettività e un’umiliazione allo Stato in quanto custode delle leggi violate. La costruzione della tratta Lione-Torino deve segnare una inversione di tendenza. È la condizione per condurre in porto l’opera, e a questo punto per il ritorno a una legalità che è compito dello Stato, e del governo, ripristinare.
a.

gismondi@tin.it

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