Taxi, la sconfitta del sindaco Veltroni

A Roma fallisce la sua «liberalizzazione soft»: a distanza di un anno, le auto pubbliche in circolazione sono aumentate di poche unità. E le tariffe sono sempre più alte

da Roma

La sconfitta più bruciante sul versante liberalizzazioni il ministro Bersani l’ha patita da un alleato. Nel luglio 2006 il suo primo decreto, che prevedeva un incremento a titolo oneroso delle licenze taxi, fu corretto non solo in seguito alle proteste dei tassisti, ma soprattutto per intervento del sindaco della Capitale, Walter Veltroni, che si fece garante dei problemi della categoria.
Niente cumulo di licenze, niente doppia targa. La questione fu rimandata alle amministrazioni comunali che avrebbero dovuto ottimizzare l’organizzazione dei turni e, in caso di necessità, aumentare il numero delle vetture in circolazione. Ma per concorso e gratuitamente. In ogni caso, alla fine di agosto del 2006 il sindaco firmò l’accordo con le organizzazioni di categoria e annunciò trionfalmente: «Ci saranno 2.500 taxi in più».
In realtà, il numero delle vetture (poco meno di 6mila) sarebbe automaticamente aumentato in seguito al rilascio di 400 permessi deliberato prima dell’entrata in vigore del provvedimento. A novembre 2006 fu effettuata la prima verifica con risultati modesti. La giunta Veltroni sollecitò l’installazione di un sistema satellitare di localizzazione che consentisse di verificare la qualità del servizio. «Un attacco alla privacy», la risposta dei tassisti. «Via a mille nuove licenze», replicò il Comune.
Nel frattempo, tra rappresentanti dei tassisti e Campidoglio si è aperto un nuovo fronte: quello degli aumenti tariffari. Le organizzazioni hanno chiesto incrementi del 25%, mentre il Comune è pronto a concedere il 12 per cento. Dopo un’estenuante trattativa durata oltre dodici ore e mezzo, ieri l’assessore romano alla Mobilità, Mauro Calamante, ha formulato un quadro di proposte: supplementi fissi di chiamata a seconda del tempo previsto di arrivo e ritocco all’insù della quota fissa di partenza. Il totale dovrebbe portare gli incrementi al 18%, ma ha dichiarato Loreno Bittarelli dell’Uritaxi «con il caro-petrolio dovremo rivedere le percentuali di adeguamento arrivando al 20-22 per cento».
Insomma, l’idea di Veltroni era aumentare le vetture bianche in circolazione «seguendo la linea del dialogo» a dispetto dei duri e puri delle liberalizzazioni come Prodi, Bersani e Rutelli. Il risultato è stato analizzato da lavoce.info nei giorni scorsi: a fronte di un obiettivo minimo di 3 auto ogni mille residenti, con le circa 7mila licenze attuali si giunge a 2,4 (in realtà l’offerta massima si attesta intorno agli 1,8 taxi). L’aver accantonato i principi di mercato (l’acquisto oneroso delle licenze con un sistema di indennizzi) ha finito con il concentrare nel decisore pubblico entrambi i vincoli del sistema taxi: «numero di licenze e tariffe».


I costi sociali, conclude lavoce, sono «estremamente elevati»: attese lunghe, conflittualità permanente e richieste di aumenti per ricostituire il valore implicito della licenza. Al segretario del Pd, che sul caso rom si è scoperto improvvisamente decisionista, non resta che interpretare il ruolo del liberalizzatore.

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