La telefonata nascosta per incastrare il Cavaliere

I pm di Napoli non hanno depositato l'intercettazione tra Berlusconi e Lavitola che dimostra che non c'è stata estorsione

La telefonata nascosta 
per incastrare il Cavaliere

Gian Marco Chiocci - Simone Di Meo

Abbondano le intercettazioni inutili, dal rilievo penale pari a ze­ro, nell’inchiesta-trappola di Na­poli sui presunti ricatti al Premier. Quanto invece a un’intercettazio­ne fondamentale che dimostrava, e dimostra, l’insussistenza del­l’estorsione, non solo non è stata depositata né messa a disposizio­ne del gip e degli avvocati ( come la legge prevede) ma è stata passata all’ Espresso con l’accortezza di e­vi­denziare il consiglio di Berlusconi a Lavitola («non tornare in Italia») anziché il contenuto vero della chiacchierata dove il Cavaliere confessa di aver aiutato economi­camente una famiglia in difficol­tà. Un aiuto, altro che ricatto.

C’è parecchia roba superflua agli atti, che non toglie e non met­te­nulla dal punto di vista giudizia­rio. Poi c’è questa intercettazione del 24 agosto che sarebbe stata uti­le alla difesa degli indagati e al gip per decidere sulla detenzione di Tarantini, e che alla fine è servita solo per attaccare mediaticamen­te la «parte lesa» Berlusconi. Ma torniamo a questa benedetta tele­fonata. Lavitola è a Sofia, in Bulga­ria. Contatta Berlusconi. L’edito­re è preoccupato per le notizie fil­trate su Panorama riguardo al­l’esplosione dell’inchiesta sulla presunta estorsione. Vuole torna­re in Italia per chiarire, Lavitola, e cerca consigli sul da farsi. Berlu­sconi gli risponde: «Resta dove sei».

Una frase avulsa dal conte­sto che avrebbe potuto/ dovuto in­teressare il giudice delle indagini preliminari, se l’avesse saputo. Qualcosa che, insistiamo, interes­sa gli avvocati degli indagati, quando riusciranno a venirne in possesso. Qualcosa che interessa lo stesso premier, a cui i pm evi­dentemente volevano contestare a sorpresa la telefonata nell’inter­rogatorio (poi saltato) a Palazzo Chigi. Qualcosa di clamoroso: «Ho aiutato una persona e una fa­miglia con bambini che si trovava e si trova in gravissime difficoltà economiche». E ancora: «Non ho nulla di cui pentirmi, non ho fatto nulla di illecito». Questo confida Berlusconi a Lavitola, e questo è quello che Berlusconi, contattato da Panorama , dice a commento del servizio sull’inchiesta che in­direttamente lo riguarda. E que­sto confermano, nei due interro­gatori, sia Tarantini che sua mo­glie, Angela, giurando che il pre­mier ha prestato loro mezzo milio­ne di euro per riprendersi dalla sciagura finanziaria che li aveva travolti.Perché allora quest’inter­cettazione non è stata deposita­ta?

Perché è rimasta chiusa in un cassetto (peraltro, nemmeno troppo sicuro visto com’è finita in edicola) se rappresenta un punto a favore della difesa, dal momen­to­che smonta l’impianto accusa­torio? Dove si è mai vista la vitti­ma di un’estorsione che difende il suo taglieggiatore? Il mancato deposito è due volte grave perché avrebbe potuto an­che mitigare la decisione del giu­dic­e delle indagini preliminari ri­guardo alle esigenze cautelari nei confronti degli indagati. Non è un optional quello che dice la legge a proposito dell’obbligo, per un pubblico ministero, di cercare fonti di prova anche a difesa del­l’indagato e di metterle a disposi­zione del giudice terzo. Se si con­frontano le date si capisce che c’era tutto il tempo per deposita­re l’intercettazione, visto che il gip firma le richieste d’arresto una settimana dopo, il 31 agosto, e il blitz della Digos scatta il 1˚ set­tembre.

Ci si è preoccupati soltanto di ciò che Berlusconi suggerisce a Lavitola,dicendogli di restare do­v’è. Un consiglio che qualcuno ha bollato co­me istigazione alla lati­tanza, anche se latitante non lo era affatto, il diret­tore dell’ Avanti , il 24 ago­sto. Consiglio assoluta­mente inutile se è vero, come scrive Il Fatto l’8 set­tembre, che Lavitola è sta­to avvistato a Roma il 29 agosto. Se, come dimostrato ieri, Napo­li non ha la minima competenza a indagare, non ha la prova del­l’estorsione anche perché estorto­re ed estorto negano il ricatto, non ha depositato l’intercettazio­ne a favore del premier, non ha ot­tenuto nulla dagli interrogatori, per logica, i pm partenopei do­vrebbero rassegnarsi. E invece no, a riprova che l’obiettivo della procura campana è quello di inda­gare la p­arte offesa prima che l’in­chiesta venga sradicata dal capo­luogo.

Oggi sarà nuovamente in­terrogato Tarantini, poi toccherà all’avvocato del premier, Niccolò Ghedini.

Pure il capo della Procu­ra di Napoli, Giovandomenico Le­pore, rispondendo a chi gli chie­deva del cambio di rotta nei con­fronti del presidente del Consi­glio, da vittima a indagato, ha ri­sposto con un «mah» che la dice lunga. Salvo poi ammettere: «Di­pende da quello che lui dirà e se ce lo dirà, non è che noi ci sveglia­mo la mattina e decidiamo di met­tere sotto processo questa o quel­l­’altra persona».

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