TELEVISIONE Ora serve soltanto a connettersi

I programmi sono tutti intrattenimento. I contenuti? Su Internet, dvd e videotelefonini

Prendiamo un’affermazione ampiamente condivisa: «Il medium è il messaggio» di McLuhan. Quest’affermazione ha sempre funzionato benissimo per spiegare le caratteristiche dei singoli media. Io l’ho utilizzata addirittura per segnare il passaggio di un unico medium, la televisione, attraverso una serie di tappe evolutive successive.
La televisione servizio pubblico delle origini (1954) non sarebbe ipotizzabile nel suo ruolo pedagogico se non disponesse di un monopolio delle trasmissioni. Per imporre un messaggio unico, fortemente educativo, bisogna contare sul fatto che lo spettatore non disponga di possibili vie di fuga o di scelta alternativa. Di fronte al monoscopio unico lo spettatore può essere sottoposto, volente o nolente, a corsi di alfabetizzazione (Non è mai troppo tardi), allo studio accelerato della letteratura italiana e straniera (i mitici sceneggiati delle origini), all’impegno politico e culturale (Tribuna politica e L’Approdo).
La televisione commerciale che nasce negli anni ’80 è strutturalmente diversa dal servizio pubblico televisivo, perché deve misurarsi con carenze e nuovi scenari. Da un lato, non avendo subito la diretta, deve praticare intrattenimento puro, trascurando l’informazione e l’attualità. Dall’altro, la sua vocazione pubblicitaria fa ruotare tutta la programmazione intorno all’audience. La rilevazione degli ascolti attraverso l’Auditel porta a un progressivo ribaltamento del rapporto tra emittente e pubblico. Se nel servizio pubblico la linea editoriale può essere indotta dall’alto, nella televisione commerciale è il pubblico con le sue scelte a dettare il palinsesto.
Infine, la televisione a pagamento fa per la prima volta del prodotto televisivo un prodotto direttamente acquistabile e consumabile per se stesso. Nella televisione commerciale tutta la programmazione è pagata dalla pubblicità e, come tale, finalizzata all’acquisto ipotetico o verificato, di altri prodotti: prodotti per l’igiene, alimentari, alcolici, automobili. La pay tv ha, come il servizio pubblico, inserti pubblicitari, ma la sua vera vocazione è vendere agli abbonati una programmazione studiata per piacere in quanto tale.
Le forme diverse di televisione hanno costituito nel tempo media diversi, dotati di regole proprie e di specifici messaggi. Caratteristica dell’evoluzione della televisione, dagli anni ’50 a oggi, così come l’affermazione dei nuovi media, è la relativa autonomia dei media considerati. Per capirci: esistono epoche dominate e caratterizzate da un unico medium. Pensiamo all’analisi dell’uomo tipografico condotta da McLuhan nel suo La galassia Gutenberg. L’uomo rinascimentale viene a un certo punto forgiato dalla stampa che impronta di sé anche i codici di rappresentazione visiva, come la prospettiva lineare. Al contrario il secolo XXI è un secolo multimediale. Molti media convivono senza che il più recente debba sostituire i precedenti. Abbiamo così stampa (giornali e libri), cinema, radio, televisione, telefonini, computer, ognuno con una propria sfera di autonomia. Ogni medium gode di caratteristiche specifiche e di un proprio campo d’espressione capaci di dettare le regole del messaggio.
Il fenomeno che caratterizza il presente è invece una progressiva contaminazione/integrazione dei media presenti sul mercato. Un contenuto espressivo, una trasmissione, non viene oggi più pensata per un unico medium di riferimento, ma per molteplici fruizioni e passaggi, su media disparati. Contenuti della televisione generalista vengono oggi riproposti sulla pay tv, ma anche sul telefonino e su Internet. Un film non viene pensato solo per essere fruito nelle sale cinematografiche, ma anche per essere diffuso in DVD, acquistato sulle televisioni a pagamento, diffuso sui videotelefonini, recuperato su Internet. Il risultato è un prodotto con molte minori caratteristiche strutturali. È un prodotto che deve catturare sul grande schermo, ma anche su uno schermo molto piccolo, che può fruire di un ascolto attento, come al cinema, ma anche di un ascolto discontinuo, per strada, all’aeroporto, nelle pause del lavoro. La soluzione sta nella rinuncia a un intreccio strutturato, in favore di un flusso continuo di azione. I nuovi film, come il ciclo dei Pirati dei Caraibi, hanno trame inconsistenti ma azione continua e ininterrotta, come in un perenne videogioco, in un ininterrotto cartone animato.
Qualcosa di simile sta avvenendo in televisione. Utilizzando la diretta, la televisione è stata nei mitici anni ’80 e ’90 l’agorà, la piazza pubblica aperta al dibattito. A lungo la televisione è stata in grado di influenzare la politica e dettare l’agenda agli altri media, in particolare della stampa. Gli eventi televisivi erano dotati di grande visibilità e facevano in se stessi notizia.
Oggi la televisione si avvia sempre di più a diventare uno dei momenti di quella grande marmellata, di quel Blob che costituisce nel suo insieme la comunicazione. Comunicare non è più, oggi, trasmettere contenuti e tanto meno proclamare verità. La comunicazione è pura e semplice connessione. Così come la telefonata non ha lo scopo di scambiare contenuti, ma di ribadire la connessione, il desiderio di contiguità all’interlocutore prescelto, così i programmi televisivi non hanno più l’ambizione di insegnare o dire semplicemente qualcosa. Si limitano a intrattenere, a connettere gli spettatori. I media sono intercambiabili e non esiste più un vero e proprio messaggio.
La comunicazione prevede oggi tutto e il contrario di tutto, come ci insegna Mario Perniola in Contro la comunicazione. Oggi la comunicazione ha abolito anche l’ultima regola che presiedeva all’autenticità del discorso: il principio di non contraddizione. Possiamo fare affermazioni contraddittorie in circostanze diverse, perché la memoria dell’uditorio della comunicazione è effimera. Viviamo in un eterno presente senza relazione con il nostro passato e il nostro futuro.
Soprattutto chi usufruisce oggi dei media non vuol essere informato o aggiornato, vuol semplicemente essere intrattenuto. Valori come la verità, la logica, il rigore espositivo, sono percepiti come noiosi, superflui, supponenti. Il diritto alla contraddizione è vissuto come uno spazio di libertà. Persino la comunicazione politica non ritiene di doversi appoggiare su dati o risultati oggettivi. Prevale la comunicazione pubblicitaria, che non parla al cervello, ma all’emotività. E in epoca di crisi di governo i sondaggi non misurano l’approvazione o disapprovazione del cittadino, ma addirittura la felicità. «Sei felice o infelice che il governo sia crollato?».
D’altronde la connessione non prevede l’acquisizione di nuove informazioni per accedere a un parere motivato sullo stato di fatto. Deve semplicemente certificare l’appartenenza a una maggioranza vincente e di successo, che ha nei numeri la conferma del giusto.
La caratteristica principale della televisione di oggi sta dunque nell’estrema volatilità, nell’inconsistenza di un messaggio che non riusciamo a concretizzare perché è di fatto inesistente. Dopo ore o minuti di ascolto televisivo, possiamo allontanarci dal video senza sentirci coinvolti da emozioni autentiche o da analisi razionali, senza nemmeno ricordare che cosa abbiamo visto o sentito. La tv è più che mai un flusso liquido di immagini, privo di verità e contenuti. È sempre più puro intrattenimento.
L’intrattenimento è effimero, ma corrisponde allo spirito del tempo, al comune sentire.

In questo spazio si muove anche la televisione. Forse la televisione è oggi anche «violenta e volgare». Ma la sua caratteristica principale è, a mio parere, la perdita di quel senso che solo la ragione è capace di conferire a ogni forma di comunicazione.

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