«Temo di finire come Hina» Ora è battaglia per liberarla

BresciaLa storia di Jamila la racconta una lettera ad un giornale locale. A scriverla a Bresciaoggi è un professore preoccupato. Jamila è una sua alunna di origine pakistana con un solo difetto: «È bellissima». E da una settimana non la si vede a lezione. La ragione parrebbe proprio avere a che fare con quella sua eccezionale avvenenza «magnetica e arcana». E col tradizionalismo della sua famiglia. Voci accreditano questa versione nei corridoi della scuola professionale di Brescia. Che i genitori la tengano lontana dalle lezioni perché anche a loro sono giunte voci: la ragazzina è supercorteggiata, non c’è compagno che non sia un po’ innamorato di lei. Ma lei sarebbe promessa sposa ad un coetaneo che l’aspetta in Pakistan. Uno che lei però non ha mai visto e che a sua volta non l’ha mai vista. Uno che forse non immagina neppure che sia così bella.
La lettera però non è un omaggio, è una denuncia. Il docente sente questa assenza che si prolunga come un’ingiustizia. Non solo perché tutti hanno diritto di studiare, ma a maggior ragione perché la giovane immigrata è intelligente e volonterosa. Merita di studiare. Dopo iniziali difficoltà, il suo pagellino di metà quadrimestre è immacolato. Il professore lascia intendere che ne vorrebbe tanti di studenti italiani con la sua voglia di imparare. Che è anche desiderio di integrarsi.
Ma dov’è Jamila? Neppure il docente, neppure i compagni lo sanno con esattezza. La immaginano a casa, ma temono sia già in Pakistan, spedita in fretta dai genitori per tenerla lontana da sguardi e sms. Telefonano regolarmente a casa della adolescente dalla scuola per sapere. Ma nessuno risponde. C’è timore. Al professore Jamila avrebbe confessato: «Ho paura di finire come Hina», la giovane pachistana sgozzata dal padre perché «troppo occidentale». Jamila sembra volatilizzata, almeno fino a ieri, quando si sono aperti i primi spiragli. Di sicuro da Brescia non se ne è andata, e forse dopo Pasqua tornerà a scuola. Ma anche in quel caso, non cambierà quello che ha confessato nell’ultimo weekend di scuola al professore: «Che è limitante, triste, brutto essere una ragazza pakistana» di quell’età.

Come lo è «il dover vivere solo per l’onore della propria famiglia e non per se stessi», «vivere senza la libertà di andare, di dire, di fare». Idee che non cambierà, neppure tornando in classe, tra i suoi compagni innamorati.

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