da Har Birani
(confine Israele-Libano)
Il tenente Zohaa il matrimonio manco lo ricorda più. È stato l11 giugno. Un secolo fa. Prima di quella notte. Prima di tutto. Sua moglie Keren, 22 anni come lui, lo aspetta a Lod in un monolocale già troppo grande. Troppo lontano. Zohaa sorride. «Ci sono andato due volte. Non vedo Keren, non vedo casa, dallinizio della...», si blocca e sorride, non sa neanche come chiamarla. «Guerra, per me da quella notte è guerra». Lordine di partire è di mercoledì sera. «Chiamo Keren, farfuglio le solite cose, vado dentro, ti do uno squillo quando torno, spengo il cellulare, faccio sempre così. Mi aspetto una missione come nei territori palestinesi. Lì non ti preoccupi, a bordo di questi cosi è difficile aver paura». La mano accarezza il Merkava. Le 65 tonnellate darmi e acciaio sono parcheggiate in un angolo a strapiombo sul confine. Laggiù è il Libano, punteggiato dai fumi dellartiglieria. Quassù, le solite palazzine del mandato inglese. Una base sul confine, i colpi di katyuscia tuttattorno.
La carezza del capocarro Zohaa è quella di un padrone allanimale fedele, del corridore alla macchina perfetta. La macchina che ti riporta a casa. Allalba di giovedì Zohaa e il suo equipaggio sono alle porte di Marun el Ras. Si combatte da 24 ore. I paracadutisti della Ezog, lunità più decorata del Libano, sono inchiodati tra i bunker dHezbollah. Hanno cinque morti, una decina di feriti. I carri devono aprire la strada alla cima. Le vampate illuminano le macerie sulla vetta, le esplosioni rischiarano il sentiero, devastano alberi e arbusti. «Da dentro non capisci, vai solo avanti. Il carro davanti si ferma, in cuffia arrivano le coordinate, lordine di far fuoco, siamo quasi pronti, alziamo la torretta, puntiamo... allimprovviso il mondo si rovescia, le orecchie esplodono, il carro sembra una nave in tempesta, la carlinga sillumina di scintille, Guv il tiratore urla come un ossesso... Ci hanno preso!». Zohaa si ferma. Yahia, 19 anni, responsabile delle munizioni, parla per lui. «Ho appena messo dentro la granata e allimprovviso non capisco più niente, maledizione, mi dico, forse è esplosa nella canna, poi vedo le scintille. Mi tocco le gambe, la testa, le braccia, tutto è al suo posto, la divisa è asciutta, non cè sangue».
Il capocarro Zohaa adesso sorride. «Sono dieci secondi infiniti. La prima volta, mhanno detto, è sempre così. Ti tocchi per capire se hai tutto al posto giusto... sei ancora vivo, ma sei nella peste, il carro è immobile, colpito». Gul il puntatore ha una scheggia nel braccio, urla. Yakhov il quarto uomo del carro gli dà unocchiata. Zohaa grida di non uscire. «Se lo fai sei morto, quelli sono tuttattorno, anzi sono proprio dietro perché il colpo è sul paracingolo posteriore destro. Chiedo soccorsi. Dal carro davanti non cè risposta, sono messi anche peggio, hanno due feriti gravi. Allora penso ai miei, al mio carro». La mano torna alla lamiera. «Ordino la retromarcia, un chilometro più indietro, fino a una casa semidistrutta. Ci fermiamo. Gul sta male, ma è vivo, arriva un infermiere lo tira giù, io ringrazio, riavvio. I nostri sono attorno al secondo carro, combattono per difenderlo, gli altri avanzano. Sono molto, troppo vicini. Copriamo i compagni, loro tirano giù i feriti. I razzi anticarro esplodono ovunque. Le pallottole rimbalzano sulla blindatura, il ticchettio è continuo, assordante. È brutta, molto peggio del previsto, contro i palestinesi non ho mai visto nulla di simile, questa è guerra vera, questi sono preparati, mi dico».
Zohaa, Yahia e Yakhov non hanno troppo tempo per pensare. I due feriti se ne vanno, un nuovo tiratore salta sul Merkava colpito, la battaglia riprende. Cinque ore dopo il carro è sulla cima di Marun el Ras. «Apro la torretta: attorno ci sono solo macerie. I bunker non ci sono più, chi non è rimasto sotto è scappato o è morto». Zohaa guarda i compagni.
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