
Dovendo far costruire alcune scene per un prossimo film, sono capitato negli studi cinematografici romani ex-De Laurentiis, sulla Pontina. Erano anni che non varcavo quei cancelli, da quando "Dino" emigrò in America, portandosi dietro il sogno infranto di un cinema italiano internazionale e il requiem per la Hollywood sul Tevere. Preso da banale nostalgia. entro in un teatro di posa deserto per ossequiare l'allegro fantasma di Totò che proprio là avevo diretto nel suo ultimo film intitolato Il mostro della domenica. In quel film Totò era un mostro perché rapiva i giovani capelloni e li rapava a zero. È lui che mi sussurra: "Le mie Mostruosità erano bazzecole, pinzillàcchere... hi hi... vattene al bar a vedere come sono i mostri di oggi...". Infatti, il bar interno dello stabilimento è zeppo di neri tinti di giallo e ricoperti da cuoio di foggia futurista-medioevale, di filippini con coda di drago, di donne-scimmia con corpi sexy. Si sta girando un film americano su un Evo Futuro, dove in una arena spaziale si sbranano tra loro gli ultimi terrestri. Sono i mostri prossimi venturi che ora si sbranano assaltando il bancone del bar per raggiungere birra e panini. C'è nell'aria afrore di belve e un vago sentore di Aids, rinuncio al cappuccino. E mi viene in mente un cappuccino di tanti anni fa (allora si chiamava ancora caffellatte) che bevvi a merenda, da bambino, dopo aver visto Il fantasma dell'Opera. Nonostante allora leggessi Salgari e non Proust, associai il sapore della dolce bevanda all'orrido viso a teschio del mostro inventato da Leroux e ancora oggi quando bevo un caffellatte troppo zuccherato nella tazza ci vedo Lon Chaney. Ho sempre sognato di dirigere Boris Karloff che mi faceva tenerezza perché, sentito in edizione originale, incuteva paura parlando con la zèppola, detta anche "lingua di pezza". Purtroppo, quanto a mostri, la mia fedina penale di regista nero è piuttosto sporca: confesso di aver fatto fare il Conte Dracula a Rascel e Mister Hyde a Villaggio.
Un mostro niente male, però, l'ho fatto fare a Sordi nel ruolo del direttore di una casa di riposo per signore anziane. E ricche. Le signore, nel film, sono seviziate dal direttore che le vuole far fuori a fini di lucro. La produzione aveva firmato un accordo con una casa di riposo "vera", che ogni mattina ci inviava un gruppo di vecchiette sul set. E i guai cominciarono subito perché le vecchiette con Sordi si divertivano come pazze e mi era impossibile creare la necessaria atmosfera di terrore. Urlavo: "Dovete tremare, aver paura di lui! ". E le vecchiette: "Paura di Alberto?". E giù a ridere. Una di loro era stata scelta per fare una miliardaria che Sordi vuole uccidere (testamento già fatto a suo favore) immergendola in un bagno gelato. La vecchietta vedendo che invece di lei nell'acqua gelida ci cadeva Sordi - secondo copione - fu presa da ilarità irrefrenabile. E più Sordi - questo non secondo copione - gemeva e rabbrividiva tra le colonne di ghiaccio che dovevano essere finte e per sbaglio dell'attrezzista erano vere, più la vecchietta sghignazzava sadicamente, crollando poi quasi stecchita. Il medico subito accorso mi accusò di averla torturata con super-lavoro e di averle procurato stato di choc letale. Il regista ha la responsabilità penale del film e poco mancò, se la vecchietta crepava, che il mostro fossi io.
E infatti i mostri non pensiamoli più in altri mondi, in diroccati manieri, in astronavi da incubo. Non immaginiamoli ancora su altri pianeti, in laboratori di scienziati pazzi, non abitano più su Mongo, non dormono più nelle bare, le loro avventure non sono più nella Laguna Nera. Ormai vivono in città con noi, frequentiamo i medesimi bar, prendiamo gli stessi autobus. Circolano indisturbati nelle strade. Abbiamo imparato a vivere normalmente con loro. Questo lardello gelatinoso che balzella lungo il marciapiede, strabuzzando due occhioni a palla e schizzando sudori verdastri, non è un marziano, è un manager che fa il footing.
Questo bipede con due enormi orecchioni che zigzaga scivolando, munito di un rigonfiamento sulla pancia, non è un marsupiale venusiano, è un paninaro con pattini a rotelle che ascolta le sue rockstar-culto dal fido walkman. Questa massa, tutta gnocchi che si gonfia e si sgonfia non è una rana siderale, è un bullo di periferia che si allena in una palestra culturista per vincere il concorso "Rambo". Alla sera del sabato la città è invasa da orde di zombi, esseri tutti uguali. Sono i replicanti del fast food. Riempiono di hamburger bocche grondanti salsa ketchup scarlatta. Sembra sangue, da grandi saranno cannibali? Ma forse all'attuale pubblico del cinema questi mostri metropolitani non farebbero paura. Oggi la paura al cinema si chiama horror, che in generale consiste in occhi estirpati dalle orbite. Il che mi fa sentire irrimediabilmente datato. Sono ancora fermo al cigolio della porta che si apre misteriosamente, mi fanno ancora fremere di più le due scarpe dell'assassino che scendono la scala a chiocciola che non una fiammeggiante lingua biforcuta di rettile che esce dalla bocca di una bambina in cerca di esorcista. Ma oggi la macchina del cinema ha stabilito che l'horror "va" e deve essere horror che più horror non si può. E allora avanti a rovesciare morti viventi e alieni sul pubblico giovane che, cresciuto tra mostri a fumetti, è completamente immunizzato da liquami cimiteriali, lupi mannari e via terrorizzando. Scena autentica avvenuta in un cinema di Roma, ultimo spettacolo, pubblico di uomini rudi, anche biechi, abbracciati a "pupe". Sullo schermo un killer dal viso mostruoso si sta accanendo sulla vittima, la riempie di pallottole, la pugnala, la sgozza, fa uscire dal corpo sangue e budella e poi riduce il tutto in sottilissime fette con una affettatrice per salumi.
Istintivamente tutti gli spettatori emettono un "eeeeh!" di incredulità. Allora un tipo di teppista stravaccato in prima fila si volta verso la platea e la rassicura dicendo alla romana: "Se pò fà... se pò fà...".(14 marzo 1988)