Sembra una favola. E per certi versi lo è. Perché fino a qualche anno fa Andrea Vavassori non poteva certo immaginare che si sarebbe qualificato per le Finals Atp di Torino, lui che sotto la Mole ci è cresciuto nel senso letterale del termine. Invece, pum: due partecipazioni di fila insieme a Bolelli erano presenti anche dodici mesi fa - e adesso il passaggio già ottenuto per le semifinali. Mai nessuna coppia italiana si era spinta così avanti e di conseguenza mai nessuno aveva avuto la possibilità di intravedere il traguardo finale: di strada da fare ce n'è ancora parecchia oggi, con l'accesso tra le migliori quattro coppie del mondo già in tasca, i due se la vedranno con i campioni uscenti Krawietz/Puetz ma intanto quello che pareva impossibile è diventato fattibile. «Vincere si può, non è soltanto un sogno - le parole di Wave, oggi numero 14 nella classifica mondiale di doppio -. Siamo una coppia vera, miglioriamo anno dopo anno e ci siamo ormai specializzati: in Italia non lo ha mai fatto nessuno, anche le coppie migliori erano sempre state formate da grandissimi singolaristi che ogni tanto giocavano insieme».
Bolelli/Vavassori tracciano allora un'altra strada: doppisti e basta. Pur se entrambi hanno ovviamente giocato anche da soli: in due però è meglio, almeno per loro. «Torino ci sta trascinando ancora Vavassori e l'atmosfera è unica. Ai doppisti non capita spesso di giocare in arene così piene ed entusiaste: il pubblico si diverte e la specialità piace, speriamo di contribuire a migliorarla ancora convincendo per esempio l'Atp a tornare a far disputare l'eventuale terzo set e non il super tie-break».
Scenari che verranno. Nel frattempo, è giusto godersi un percorso cominciato su «un campo in asfalto costruito da nonno Arduino e dai suoi due fratelli in mezzo a tre case di Tetti Neirotti, Rivoli, dove sono cresciuto. È la storia di tre generazioni: mio nonno non giocava, ma era un grande appassionato di tennis e di Stefan Edberg. Su quel campo prima ci sono state mille sfide e lì mio papà Davide, che oggi è il mio allenatore, ha cominciato a far giocare anche me mentre nonno Arduino raccoglieva le palline».
Pare una favola,
appunto. «Ci vogliamo ovviamente un gran bene le parole di papà Davide ma ogni tanto capitano anche momenti di confronto e discussione. Sappiamo però tutti dove possiamo arrivare». Là in fondo: dove c'è un trofeo da alzare.