Jannik, elogio di un ko

La forza mentale come motore e la famiglia per ripartire: "Restiamo semplici, non c’è altra via"

Jannik, elogio di un ko
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Quando perdi così, diciamolo: ti girano le scatole. Eppure il tennis insegna che sia possibile fare l’elogio della sconfitta, soprattutto se hai dato tutto e forse un po’ oltre. Certo, ci sono state sbavature importanti, ma in 5 ore e mezza di lotta è normale che capiti. Per esempio: chi di voi avrebbe detto che Jannik Sinner si sarebbe spinto fino al tie break quando era sotto e sfinito all’inizio del quinto set? Nessuno, infatti. C’è voluta una forza mentale pazzesca, la stessa che serve ora a Jannik per passare oltre. Qualcuno si chiede: ce la farà? La risposta è che ce la farà: «Se vi dicessi che tutto va bene sarebbe una bugia. Ma non si può stare qui a piangere, si deve andare avanti. Quella è la via, non ce n’è un’altra: o la fai o ti perdi, e io non voglio perdermi ». Le parole nella notte di Parigi ne sono la conferma: per Jannik qualche giorno in famiglia varranno come le noccioline per Super Pippo, poi da Halle si ricomincia, obbiettivo Wimbledon. Anzi: obbiettivo Alcaraz.

«Sono conscio che non potrò batterlo sempre» ha detto lo spagnolo col trofeo del Roland Garros in mano, il che è una presa di coscienza dopo un match che avrebbe potuto smarrire, perché – come sappiamo - ci è andato molto vicino. «I tre match point per lui? Anche a quel punto sapevo di avere una possibilità, è così che si ragiona: punto dopo punto, senza guardare il punteggio », e anche in questo c’è il confronto tra lui e Sinner, che poi sono le due facce di una stessa medaglia, mentre nell’altra sta il resto del tennis. L’italiano ha anche dovuto superare il tifo contro della maggior parte dei presenti al Philippe Chatrier, che hanno adottato Alcaraz come epigone di Nadal. Ma si sa: i francesi sono come noi un po’ di tempo fa, con giocatori medi o futuribili (e tra le donne hanno scovato per caso la Boisson), per cui tifano quello che possono. Jannik non ha fatto caso neppure a quello, e alla fine anche loro si sono dovuti inchinare alla sua grandezza. Anche se ha perso, appunto.

E questo, dunque, quel che resta della finale più lunga della storia del torneo (che in Italia ha segnato pure il record di oltre 5 milioni di spettatori su Eurosport e Nove): un vincitore, uno sconfitto, il paragone con i grandi match della storia del tennis. Borg e McEnroe nel 1980 a Wimbledon giocarono il match segnato da un tie break entrato nell’immaginario del tennis: vinse lo svedese, ma lì cominciò il mito dell’americano. Federer e Nadal iniziarono sul serio la loro rivalità-amicizia quando lo spagnolo batté in finale Roger, in cinque meravigliosi set, sul sacro suolo di Church Road. Lo stesso Nadal con Djokovic restò in campo sei ore a Melbourne nel 2012: il serbo conquistò il titolo, lui l’ammirazione di tutti. E poi c’è ancora Wimbledon, 2019, i due match point del vecchio Federer cancellati dal Djoko che poi vinse nella prima e unica finale in cui il tie break si giocava sul 12 pari. E quei match point sono la cosa che assomiglia di più a quello che è successo domenica.

Sfide diventate leggenda, in pratica, in una galleria che ora ha messo anche questo Alcaraz-Sinner tra i momenti indimenticabili.

E se è vero che, nell’ultimo caso, quella finale sancì la fine di Federer, Jannik ha solo (quasi) 24 anni e una via ancora lunga da percorrere: «La mia famiglia, chi mi conosce, mi aiuterà. A volte dai e a volte prendi: ora tocca a me prendere qualcosa da loro. Saranno felici che tornerò a casa, siamo una famiglia semplice». È vero: di sicuro conosce la strada.

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