Roland Garros '84: quando l'ex "pollo" Lendl fregò McEnroe

Il 10 giugno 1984 i due contendenti fecero scintille all'Open di Francia: ne uscì una spremuta di tennis di livello inarrivabile

Roland Garros '84: quando l'ex "pollo" Lendl fregò McEnroe
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La stampa l'ha soprannominato in fretta "The chicken", il pollo. Lui se ne va a spasso per i maggiori tornei del circuito agitando quel fisico dinoccolato con ferale attitudine, salvo poi smarrirsi quando c'è da fare maledettamente sul serio. Del resto ha collezionato quattro sconfitte in altrettante finali di tornei del Grande Slam. Non un ruolino invidiabile. Infilato come un dilettante qualsiasi proprio quando stava per afferrare il torneo di turno. Certo, due volte però l'ha fatto fuori Jimmy Connors.

E come potrebbe fare adesso, questo sottile cecoslovacco di Praga, a spuntarla? Ivan Lendl ci rimugina parecchio, prima della finale del Roland Garros del 1984. Anche (e soprattutto) perché davanti ha una montagna che pare eccessivamente impervia. John McEnroe sta vivendo il suo anno di grazia. Ha vinto tutte e 33 le partite disputate fino a quel momento lì. Modi da smargiasso, mancino letale, volée uncinanti. Lendl è tutto l'opposto. Serve fortissimo ed è una bomba sui passanti. Però è schivo, introverso, non sembra avere quella categoria dell'anima che brutalmente gli italiani inquadrerebbero nella cazzimma. Così resta un volatile da cortile e nulla più.

L'incipit di quel rovente 10 giugno non sembra raccontare nulla di diverso. John ha già strapazzato Ivan per quattro volte di fila, quell'anno. Gli allibratori quel giorno vorrebbero sciallarsela altrove. Lo scontro pare impari per una imbarazzante pluralità di ragioni. Infatti scappa subito l'americano. Inizio fotonico, colpi macinati, Lendl crivellato e arrendevole: 6-3 e 6-2 nei primi due set. Il pubblico asserragliato sulle tribunette lavorate dalla calura sbadiglia e sorseggia elisir refrigeranti. Tra i due sfidanti corre un anno soltanto - 1959 Johnny, 1960 Ivan - ma è come se lo statunitense fosse di diverse spanne più maturo. Chissà cosa penserebbe la mamma di Lendl, in quei frangenti. La signora l'aveva praticamente costretto a diventare un campione fin da piccolo, aspettandosi che respingesse con acume e lucidità tutte le palline che gli sparava sui glaciali campetti cecoslovacchi.

Forse è a quel pensiero che si aggrappa Ivan. Magari riflette anche sulla stampa che già sghignazza avidamente, preparando un altro titolo velenoso. D'un tratto rifiuta di essere un secondo di successo. Il pollo che fa tutto bene per poi tentennare quando conta. L'idea di perdere ancora è una panzana della mente che deve respingere di rovescio. Torna in campo saltellando, con gli occhi della tigre, rifiutando si essere soggiogato. Eppure, sul 2-2, McEnroe prende di nuovo il largo: 0-40. Lendl deve agganciarsi adesso a qualcos'altro per salvarsi. Segnatamente, ad uno dei suoi miracolosi passanti. Punto. Servizio strappato. Set riconquistato. Ossigeno che torna ad esplorare i polmoni.

Quarto set. McEnroe lo addenta con fervore, deciso a spegnere sul nascere lo sgorgante ritorno dell'avversario. Ma i suoi fendenti adesso sono smorzati dalla fatica. L'esecuzione non accompagna intenzioni ambiziose. Va ancora avanti, sul 4-2, ma Lendl è un diesel ormai ruggente e pulito. Anche questo lo vince il ceco. La gente molla i drink e inizia a ricredersi. Il quinto è rissa tennistica pura, ma a livelli qualitativamente eccelsi. Si lotta tribalmente punto su punto. Lendl strappa un 15-40 e John tradisce proprio con il pezzo forte della casa, la volée, non riuscendo ad annullare il secondo match point.

L'ex pollo finalmente può sorridere. Adesso pare di più un'aquila. Quel match stapperà del tutto due luccicanti carriere. A fine corsa, voltandosi indietro, Ivan potrà contare 8 Slam, uno più del rivale.

Entrambi fuoriclasse, ambedue non immuni da maledizioni inscalfibili: McEnroe non trionferà mai al Roland Garros. Lendl non solleverà mai il trofeo di Wimbledon. Ci sarà comunque molto altro a ispessire due storie fenomenali. Quel giorno di giugno di quasi quarant'anni fa resta un prologo fragoroso.

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