Sinner: "Virus sconfitto. In due giorni al 100%"

Us Open, primo incontro con i media dopo il ritiro a Cincinnati. A New York l'altoatesino deve evitare il sorpasso di Alcaraz. "Noi diversi, ci accomuna solo il lavoro duro"

Sinner: "Virus sconfitto. In due giorni al 100%"
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Due ore di allenamento sotto il sole del mattino di New York. Dai 25 gradi in su con l’americano Mickelsen dall’altra parte della rete, prima sul campo numero 1 e poi sull’Arthur Ashe, con intensità crescente, un paio di soste per bere e due magliette – alla fine – sudate. Cincinnati, insomma, è solo un ricordo: qualunque cosa abbia rovinato la finale sembra sia passata. Sono bastati due giorni di riposo per debellare il virus e tornare a picchiare la pallina, con la solita fascia elastica al gomito, perché per Jannik Sinner quella è diventata una coperta di Linus.

Gli UsOpen, dunque, sono alle porte e il numero uno del tennis sembra pronto per difendere il suo titolo e il suo ruolo di leader del ranking. Jannik ha parlato di questo, dopo aver anche giocato a ping pong con Naomi Osaka dispensando sorrisi.

Insomma sta bene («unanno fa ero molto più stressato»), manca poco per ritrovare la forma: «Non sono ancora al meglio, ma fisicamente ho recuperato quasi del tutto: sto lavorando anche sul servizio, in un paio di giorni arriveremo al 100%. Per fortuna non gioco domenica, ma non l’ho chiesto io». C’è in palio la rivalità con Alcaraz (ieri vicino di campo), ma non solo: «Lui ed io siamo diversi, dentro e fuori dal campo, ed è bellissimo perché rendiamo le cose molto più interessanti. In comune abbiamo il modo in Ai miei genitori dissi: “Se a 24 anni non sono tra i primi 200 smetto”. Non potevamo permetterci i viaggi con i soldi che avevamo cui che impegniamo duramente: sappiamo che, se non continuiamo a migliorarci, gli altri ci prenderanno. È solo questione di tempo: ci stiamo dividendo i trofei, ma le cose possono cambiare. Anche qui».

Si riparte, dunque, è ufficiale. Resta qualche scoria («ma ho sempre preferito qui che Cincinnati») e qualche domanda a cui Sinner non vuole rispondere, per esempio su ciò che cambierebbe del tennis moderno: «Tante cose, ma non vi dico quali...», dice ridendo. Ma poi aggiunge: «Quando ho lasciato casa mi ero detto che se non fossi stato nella Top 200 a 24 anni avrei smesso.
La mia famiglia non se lo sarebbe potuto permettere: il tennis è uno sport molto costoso. Il mio sogno era entrare nei primi 100, tutto quello che è arrivato è un di più».

E poi c’è sempre il tema del rientro nel team del preparatore Umberto Ferrara: «Se è lui il responsabile del mio programma antidoping? Sono cose interne, abbiamo tutto sotto controllo».


A New York, tra l’altro, c’è anche l’altro protagonista del caso doping, ovvero il fisioterapista Gianluca Naldi, ora al servizio di Francesco Passaro. Il binomio funziona: nell’ultimo turno delle qualificazioni ha battuto il portoghese Rocha 7-5, 6-3 e sarà il nono italiano in tabellone.

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