La tentazione di Silvio: scaricare i centristi una volta per tutte

Roma Dopo aver scartabellato sondaggi e proiezioni per giorni, Silvio Berlusconi sembra essere ancora più convinto di prima. Perché quella che fino a qualche settimana fa era solo una reazione istintiva alle interminabili trattative in corso con l’Udc - mediazioni a cui il Cavaliere è notoriamente allergico e che considera «roba da Prima Repubblica» - nelle ultime ore ha trovato più di un appiglio nelle rilevazioni e negli studi arrivati sulla sua scrivania di Arcore. Che danno due importanti indicazioni: in primo luogo le alleanze variabili dell’Udc non sembrano convincere lo stesso elettorato centrista, tanto che un sondaggio valuta una possibile fuoriuscita di «delusi» tra il 2 e il 3% (non poco per un partito dato tra il 6 e il 7%); in secondo luogo, nelle regioni ancora «aperte» (Lazio, Campania e Calabria) Pier Ferdinando Casini potrebbe essere davvero determinante solo se appoggiasse il candidato del Pd. Un’ipotesi difficilmente percorribile perché da una parte sancirebbe il passaggio definitivo dei centristi nell’orbita del centrosinistra (con conseguente fuoriuscita di voti) e dall’altra costringerebbe Casini ad appoggiare non solo la laicissima Mercedes Bresso in Piemonte ma pure la radicale Emma Bonino nel Lazio.
Così, messi sul piatto anche gli ultimi sondaggi e soprattutto l’atteggiamento di Casini, Berlusconi continua a pensare che «la scelta giusta» sarebbe quella di «lasciar perdere l’Udc». D’altra parte, è il ragionamento del premier, i centristi hanno preferito il Pd in tutte le «regioni di frontiera» (vedi il Piemonte o, quasi certamente, la Puglia) per «concedersi» solo nel Lazio, ma tenendo a sottolineare come l’accordo sia direttamente con Renata Polverini (e con il suo sponsor Gianfranco Fini, con cui il premier ha in programma un nuovo incontro giovedì) e non certo con il Pdl. Insomma, non è un’intesa con Berlusconi. Mentre in Campania e Calabria continuano a non dare segnali conclusivi per chiudere l’alleanza. E questo, ha spiegato nei giorni scorsi il premier nelle sue conversazioni private, è «il punto di caduta». Perché alla fine l’Udc si apparenta al centrodestra solo dove gli fa comodo e avendo già ottenuto la garanzia di poltrone di peso (nel Lazio la presidenza del Consiglio regionale e l’assessore all’Urbanistica, mentre in Campania ha chiesto la vicepresidenza della giunta), dando così l’impressione di essere lei ad imporre le alleanze al Pdl. Per usare le parole del sottosegretario Francesco Giro, «l’Udc sembra farla da padrone».
Il caso in qualche modo di scuola, sollevato dal Cavaliere la scorsa settimana durante il vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli, resta quello del Piemonte. Pur di non sostenere il leghista Roberto Cota, infatti, l’Udc ha deciso di appoggiare la Bresso, lontanissima dalle posizioni centriste. E se è vero che Casini aveva messo il veto su qualsiasi candidato del Carroccio, va detto che aveva fatto esattamente lo stesso proprio con la Bresso in Piemonte e Niki Vendola in Puglia. La scelta dell’Udc in Piemonte - ragionava Berlusconi - dimostrerebbe che l’unico vero obiettivo di Casini è quello di «condizionarci»: si allea con il Pd dove può davvero cambiare il risultato del voto e viene con noi negando che l’appoggio sia al Pdl e dove comunque ci sono buone chance di farcela lo stesso.
Per questo, nelle ultime ore, gli input arrivati da Arcore sono stati netti. «In Puglia è inutile stare ad aspettare ancora l’Udc», ha detto ai suoi nei giorni scorsi. Mentre in Calabria, ha fatto sapere al candidato governatore Giuseppe Scopelliti, «i sondaggi dicono che si può vincere anche senza centristi». La tentazione di sganciare Casini, insomma, c’è davvero. Anche se in alcune zone le trattative sono ormai andate troppo avanti e sono così indissolubilmente legate alle realtà locali che è difficile tornare indietro. Vedi il Lazio, ma anche la Campania (dove secondo il premier la vittoria potrebbe essere in discussione solo se il Pd appoggiasse un candidato dell’Udc contro Stefano Caldoro). Non è un caso che nel Pdl siano in molti a fare pressioni sul Cavaliere per una linea più «morbida», da Fabrizio Cicchitto a Gaetano Quagliariello.
L’ultima parola dovrebbe arrivare domani pomeriggio durante l’ufficio di presidenza del Pdl dove, assicura Quagliariello, «ci sarà un confronto vero».

E dove la soluzione potrebbe essere una mediazione tra falchi (tra cui Sandro Bondi e Denis Verdini, sulla stessa linea del Cavaliere) e colombe, magari dando il via libera a quelle intese locali di fatto già sottoscritte. A patto che anche da Casini arrivino «segnali di buona volontà». Perché, ripeteva ieri in privato il premier, «non può farla da padrone».

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