Pubblichiamo il racconto inedito Testa di zucca che la scrittice Joyce Carol Oates leggerà questa sera al Festival «La Milanesiana. Letteratura Musica Cinema Scienza» ideato e diretta da Elisabetta Sgarbi (Teatro Dal Verme, ore 21). La serata è realizzata grazie al contributo di Gioco del Lotto Lottomatica. La manifestazione è sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Joyce Carol Oates, da tempo candidata al Premio Nobel per la letteratura, è nata nel 1938 negli Stati Uniti. Il suo ultimo libro edito in Italia è il romanzo Una brava ragazza (Bompiani). Tra i suoi successi, L’età di mezzo , Tu non mi conosci e Le cascate.
di Joyce Carol Oates
Verso la fine di marzo una tempesta di grandine si era abbattuta sul New Jersey centro-settentrionale. Suo marito era morto diversi giorni prima. Lei sapeva che tra i due episodi non c’era alcun collegamento. Eccetto il fatto che, da quel momento, al crepuscolo aveva cominciato a notare un curioso luccichio nell'aria. Si sorprendeva più volte nell’ingresso della propria abitazione, oppure fuori - senza ricordarsi come vi era arrivata. Rimaneva a fissare per lunghi minuti notando come, mentre i colori sbiadivano, la luce vitrea emergeva sia dal cielo che dai pini silvestri cingendo la casa. Non le sembrava una luce naturale, e nei momenti di debolezza pensava, È il momento del grande passaggio. Fissava senza essere sicura di ciò che stava vedendo. Si sentiva eccitata, vigile. Avvertiva una certa inquietudine. Si chiedeva se quello strano luccichio nell’aria c’era sempre stato, anche se nella sua precedente vita protetta non l’aveva notato.
Quella domenica d’ottobre, prima che il sole fosse completamente tramontato, la luce dei fari di una macchina s’infilò nel vialetto d’accesso, a una certa distanza sulla strada. Lei si riebbe di soprassalto - sulle prime senza sapere dove si trovasse. Dopodiché le tornò in mente, Anton Kruppe faceva un salto da lei più o meno a quell’ora.
Faccio un salto, aveva detto lui. O forse lei gli aveva detto, Perché non fa un salto?
Lei non riuscì a distinguere perfettamente il suo viso. A quanto pare, stava guidando un camioncino a sponde basse con lettere bianche poco chiare sul fianco. Smontò dal posto del guidatore sull’alta cabina e barcollò verso di lei lungo il sentiero ombreggiato - un’alta figura maschile simile a uno spaventapasseri, con una zucca di Halloween deforme al posto della testa.
Che shock! Hadley indietreggiò, senza sapere cosa stesse vedendo. La ghignante testa di zucca sulle spalle di un uomo, i maliziosi occhi ritagliati non illuminati dall’interno, come una lanterna fatta con una zucca scavata, ma scuri, vitrei. E la voce che irrompeva dalla fessura della bocca ghignante con un marcato accento inglese.
«Signora? È giusto l’indirizzo? È lei - la padrona di casa?».
Lei rise, nervosamente. Immaginò che fosse tenuta a ridere. La voce continuò con un finto e stridulo tono solenne. «Lei - abita qui, signora? Sono - il benvenuto, qui? Sì?»
Era uno scherzo. Uno dei maldestri scherzi di Anton Kruppe. Era riuscito a spaventare Hadley nonostante forse non fosse nelle sue intenzioni, ma probabilmente volesse solamente farla ridere. Era imbarazzante il fatto che lei si fosse spaventata veramente, sebbene sapesse benissimo che Anton sarebbe venuto. E chi altri se non Anton Kruppe si sarebbe presentato in quel modo, con una zucca di Halloween al posto della testa?
Hadley lo conosceva a malapena. Sentì una fitta di sgomento per averlo invitato a fare un salto da lei. L’aveva invitato d’impulso e ovviamente lui aveva detto di sì.
Al supermercato, Anton era il lavoratore più gentile e volenteroso. Era quello che scherzava con i clienti, e che rideva delle sue stesse battute; era puerile, vulnerabile e commovente; la sua stessa parlata goffa era una specie di risata, non pienamente comprensibile ma contagiosa. Malgrado la sua goffaggine, si capiva che era un uomo di un’intelligenza straordinaria. Hadley intuì che si era dato una gran pena per intagliare la testa di zucca di Halloween: era grande, bulbosa, solcata da strane venature e striature, due volte la dimensione di una normale testa umana, con occhi triangolari, un naso triangolare, una bocca sogghignante tempestata di denti a zanna. In qualche modo era riuscito a sistemare con forza quell’affare sulla sua testa - Hadley quasi non capiva come avesse fatto.
«Veramente geniale, Anton! L'ha intagliata proprio lei?».
Questo era il genere di domande assurde che si rivolgevano ad Anton Kruppe. Perché bisognava pur chiedergli qualcosa, per mitigare la tensione che scaturiva dall’ansia rabbiosa di quest’uomo di riuscire simpatico, di fare una buona impressione, di suscitare una risata. Hadley si ricordò della volta precedente in cui Anton aveva fatto un salto da lei, che era stata la prima, la settimana appena trascorsa. La conversazione protratta e forzata fra di loro, quando Anton aveva dato l’impressione di non sapere come congedarsi, dopo che Hadley gli aveva servito un po’ di caffè e piccoli sandwich con pane multicereali; l’incedere barcollante verso di lei; la convulsa stretta di mano e il goffo e umido bacio sulla sua guancia, che sembrava averle procurato un turbamento, un sussulto, come per lo sfioramento delle ali di un pipistrello.
«Sì signora. Ha intenzione - di comprarla?».
«Dipende, Anton. Quanto…».
«Per lei - signora - “è gratis!”».
Esasperata, lei si chiese quanto sarebbe andata avanti questa pantomima forzata. Alla scuola media, i ragazzi come Anton Kruppe venivano snobbati dai compagni - Ah, ah, molto divertente! - ma una volta adulti, come si poteva scoraggiare un tale umorismo senza risultare maleducati? Anton era parecchio più giovane di Hadley, di dieci o dodici anni, per quanto lui sembrasse più vecchio della sua età, mentre Hadley sembrava più giovane; era nato nel Paese che oggi si chiamava Bosnia, era stato portato negli Stati Uniti da un parente sopravvissuto, aveva frequentato le scuole americane incluso il MIT, anche se in tutti quegli anni non era diventato troppo credibile come cittadino americano.
Sforzandosi troppo, pensò Hadley. Segno del fatto che era nato all’estero.
In una specie di ansioso trionfo, percependo l’esasperazione della padrona di casa e tuttavia deciso a non ammetterlo a se stesso, Anton si sfilò la lurida testa di zucca allontanandosela dalle spalle, con le mani arrossate e dalle grosse nocche. Ora Hadley poté notare che la zucca non era intera ma solamente tre quarti del guscio - era stata sventrata e intagliata e la sua parte posteriore tagliata via - il retro di ciò che, in un teschio umano, sarebbe la scatola cranica. Pertanto, la misteriosa testa di zucca era in realtà soltanto una specie di maschera di zucca fissata manualmente. Eppure così realistica, come la silhouette dello spaventapasseri che era avanzata nella sua direzione barcollando lungo il vialetto, quella faccia le era sembrata viva. Avrebbe potuto giurare che le orbite di quegli occhi avevano rivolto uno sguardo gioioso verso di lei.
«Va bene? È - sorpresa? “Buon Halloween” - giusto?»
Era Halloween? Hadley era sicura che non lo fosse. Mancavano ancora diversi giorni al trenta di ottobre.
«È per lei - Hedley. Da sistemare qui». (...)
Dal momento che sulla credenza c’era un barattolo aperto di noccioline brasiliane, Hadley offrì pure queste ad Anton. Una cascata di noccioline in una tazza di ceramica blu.
Anton bevve e mangiò con gratitudine. Avidamente, ingordamente. Vagando lentamente per il soggiorno di Hadley mentre scrutava le librerie, con indosso le calze di lana grigie.
Parlò con eccitazione - aveva così tante cose da dire! - ricordando ad Hadley un uccello cinguettante - un grosso uccello teneramente goffo come uno struzzo - dalle gambe lunghe, collo lungo, un viso a becco, occhi curiosi e lesti. I capelli si diradavano drasticamente sulla fronte tanto da ricordare una specie di attrezzo da giardino - una cazzuola? - e la parte superiore del corpo, ora che si era sfilato la giacca a vento, era ossuta, concava. Hadley pensò, Sarà cereo, sotto. Un petto glabro. Una pancia poco pronunciata, e gambe affusolate.
Hadley si mise a ridere. Aveva già trangugiato mezzo bicchiere di vino. Una sensazione di calore si propagò sulla gola e sulla zona del cuore.
Hadley cercò di ascoltare educatamente - di concentrarsi - mentre il suo eccentrico ospite chiacchierava rapidamente e nervosamente e con un entusiasmo da scolaretto. Com’era irritante Anton! Come molte persone timide, una volta che cominciava a parlare sembrava non sapere come fermarsi; gli mancava la destrezza di saper cambiare argomento nelle situazioni sociali; non aveva idea di come iniziare una conversazione con un’altra persona. Come un veicolo fuori controllo giù per una collina, si lanciava, a testa avanti, incurante. Eppure, c’era qualcosa di indubbiamente attraente in lui.
Ora si fece più infervorato, appassionato - per quanto sembrasse anche che stesse scherzando - mentre parlava dei politici americani, della cultura pop americana, dell’«ignoranza fondamentalista americana» riguardo alla ricerca sulle cellule staminali. E com’erano ignoranti, più del novanta per cento degli americani credeva in Dio - e nel diavolo.
Sentendo queste parole, Hadley lo guardò con disapprovazione.
«Sì, sì! Credere nel Dio cristiano equivale a credere nel Suo nemico - il diavolo. Questo si sa».
Traduzione di Licia Vighi
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