nostro inviato a Vienna
Solo gli uomini baciati dalle stelle carezzano sogni che disegnano quella straordinaria impossibilità dell’essere normali. E il sogno di Fatih Terim è di arrivare, mano nella mano, alla finale europea insieme all’Italia. Semplice, soprattutto se regalasse qualche spicchio del suo stellone a Donadoni. Turchia e Italia sono le sue terre di conquista calcistica. Quando vede gli italiani, questo signore che ogni volta lucida il suo appellativo, Imperatore, straluna gli occhioni e ripassa una delle tre lingue che conosce. Gli sono rimasti buoni ricordi: Firenze eppoi Milano. Il pallone talvolta è terribilmente ingannatore e l’uomo che oggi tutti additano per la forza dello stellone che gli ha permesso di ribaltare tre partite negli ultimissimi minuti, finì arrostito e spedito via dal Milan per un rigore sbagliato da Inzaghi. Guarda caso: all’ultimo minuto! Era novembre del 2001 e il cielo di Torino aveva solo nubi, nessuna stella in cielo, un gol subito dal Milan, Inzaghi sul dischetto: la palla poteva volare in porta accompagnata da una colomba, fu invece rapita da un avvoltoio a caccia di carogne. E così finì la storia milanese dell’Imperatore.
Oggi Terim è forse uno dei più invidiati ct dell’orbe calcistico. È sempre stato un po’ megalomane, in tutto. Arrivò a Milanello e occupò l’ufficio che fu di Berlusconi eppoi di Ramaccioni, una istituzione rossonera. A Istambul, quando allenava il Galatasaray, vedeva gli allenamenti dall’alto di una torre. Per dominare meglio. E oggi: con quel... sorriso (?) può fare ciò che vuole, dice il sussurro tramandato di panca in panca. I gol della Turchia sono lo specchio di una leggenda che sta prendendo spessore. La nazionale sua ha realizzato sei reti e quattro tutte nel finale: al 92’ per battere la Svizzera, al ’87 e al ’89 per demolire la Repubblica Ceca, al minuto 121, l’ultimissimo dei supplementari, per sradicare la Croazia dalla convinzione di aver vinto. «Ciò che ci è capitato è unico nella storia, siamo una squadra speciale. Non c’è più limite al successo», ha raccontato Terim, giusto per infilare il coltello nelle piaghe di chi lo invidia, o per spiegarci che il suo patto con la fortuna non è ancora giunto ad esaurimento.
Fortuna? Certo. È impossibile prevedere che Cech commetta una gaffe così clamorosa da permettere ai turchi di pareggiare con la Repubblica Ceca. Ma poi dell’altro: i cechi hanno commesso un altro errore difensivo improponibile per farsi battere. E i croati hanno fatto di peggio, andando in tilt per l’ultimo rilancio di Rastu, il portiere turco. Ci vuole anche convinzione, capacità di far giocare una squadra fino all’ultimo secondo, modellare una compagnia di kamikaze pronti a lanciarsi nella partita con la foga di una setta e la petulanza di uno sciame d’api. Il racconto di Terim spiega tanto: «Dopo il gol croato, ho visto giocatori stesi sul campo. Ho chiamato Arda e gli ho detto: non è finita. Tutti in piedi, mettete la palla a centrocampo e riprovateci». Ha vinto lui. Ha vinto un credo. «Siamo un paese di 70 milioni di persone che può sempre migliorare. Risorgiamo dopo esserci complicati la vita. Questa è la nostra forza».
La buona stella sceglie la compagnia che preferisce: quella di Terim rispecchia l’indole di un uomo che sembra rozzo, ma sa essere capopolo e raffinato esploratore della psicologia umana. Ha convinto la squadra a distruggere il gioco altrui, non essendo in grado di costruirlo, ha convinto i suoi bisontini calcistici a non sentirsi inferiori a nessuno.
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