TERREMOTO AL PIRELLONE

«Per una volta non ho ubbidito a nessuno. Né a Maroni, né a Calderoli e neppure a Bossi». Perché Davide Boni, ma anche i colonnelli della Lega, assicurano che a chiedergli di dimettersi dalla carica di presidente del consiglio regionale non è stata la Lega. Niente a che fare con i casi della vice presidente del senato Rosi Mauro e dell’ex tesoriere Francesco Belsito, espulsi dal consiglio federale dopo le indagini sull’utilizzo diciamo improprio del tesoro del Carroccio. E nemmeno con l’abbandono di Renzo Bossi, la cui rinuncia al seggio al Pirellone è stata accolta da un voto del consiglio di ieri. «Perché Boni - spiega un pezzo grosso della Lega - non è stato nemmeno sfiorato dal sospetto di aver messo le mani sui nostri soldi. Contro di lui c’è semplicemente un avviso di garanzia». Nessuna teoria del complotto, «ma il rischio di creare un pericoloso precedente e consegnare alla magistratura il potere di decidere chi possa o non possa governare la regione».
E, a conferma di questo, Boni presentando le sue dimissioni racconta che sia dal «triumvirato» che dal presidente del partito Umberto Bossi «mi è stata rinnovata la piena fiducia». L’ultima volta lunedì pomeriggio in via Bellerio. «Quando però è lo stesso Umberto Bossi a fare un passo indietro, un militante come me con ventidue anni di vita politica nella Lega, non può che fare altrettanto». I motivi? Di cuore, più che dettati dalla ragione. «Una scelta maturata nel tempo, sofferta. Che ho preso io con la mia famiglia». Solo tre ore di sonno nell’ultima notte «perché mio figlio di dieci anni voleva dormire con me nel letto». Ma l’ospite indesiderato erano ben altri pensieri. E poi l’ammissione che gli ultimi trentacinque giorni sono stati davvero duri. Di passione per quell’avviso di garanzia per corruzione legata a presunte tangenti legate alla concessione di aree edificabili a Cassano d’Adda. Per ora solo un atto dei magistrati per consentirgli una miglior difesa, ma diventato un macigno. Boni non ha nessuna intenzione di far la vittima. Nemmeno con chi gli mette sul piede, lui che a calcio giocava «da stopper», la palla più facile: il paragone con Filippo Penati finito nelle inchieste della procura di Monza sul sistema delle tangenti a Sesto san Giovanni. «Con Penati permettetemi di essere garantista, perché sono passati diciotto mesi e a quanto lui mi dice i magistrati non lo hanno nemmeno ancora sentito». Ma il rilancio è pronto, perché Boni si dimette anche dalla carica di rappresentante dei presidenti dei consigli regionali. «Se devo essere polemico, il mio pensiero va a Nichi Vendola e Vasco Errani», i due governatori del centrosinistra di Puglia ed Emilia Romagna che pur indagati non si dimettono. «Io il passo l’ho fatto, qualcun altro evidentemente non se la sente». Un «gesto apprezzabile» il commento di Maroni che a proposito del suo sostituto è chiaro: «Voglio che in Regione si affermi il nostro nuovo principio: largo ai giovani. Ne abbiamo tanti, ne sceglieremo uno per presiedere il consiglio».

Facendo così tramontare la candidatura del capogruppo Stefano Galli. In ballo Massimiliano Romeo e Ugo Parolo. Ma se si volesse guardare alla carta d’identità, Fabrizio Cecchetti è classe 1977. E già alla seconda legislatura, requisito che non dispiace affatto.

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