«Terreno reso marcio dalle infiltrazioni»

Dopo la tragedia, le analisi. E le accuse. È stata una frana di 400 metri cubi ad investire, facendolo deragliare, il treno in Val Venosta. Nel mirino è dunque lo stato del territorio attraversato dalla ferrovia, inaugurata appena cinque anni fa. E il presidente dei geologi italiani Pietro De Paola ha già lanciato le sue accuse: «C’è un uso dissennato del territorio». Ma nella vallata il rapporto con la terra, le frane e l’acqua risale alla notte dei tempi. È da secoli che un reticolo di rogge alimenta l’agricoltura e vi sono reperti che risalgono all’epoca romana con testimonianze di antichi acquedotti, necessari per captare l’acqua piovana che cade copiosa e che poi deve essere incanalata nei campi, spesso arrampicati su erti terrazzamenti lungo i fianchi della montagna.
Sul luogo della disgrazia ha compiuto un sopralluogo il capo dei geologi della Provincia autonoma di Bolzano, Ludwig Noessing: «Data la massa relativamente grande dello smottamento - ha detto - l’impatto ha sviluppato un’energia notevole». La frana aveva una larghezza di 10-15 metri: «Si è trattato di una frana di superficie, causata da infiltrazioni d’acqua». Noessing ha confermato che all’origine del movimento franoso possa essere stata la rottura di un tubo per l’irrigazione. A monte del posto della disgrazia - ha detto - non ci sono infatti corsi d’acqua o invasi. Un’ipotesi plausibile anche secondo Pietro De Paola, presidente dell’ordine dei geologi italiani. «Mi è capitato di vedere - ha detto il professore - bacini idrici posti in cima a collinette franose. In questi casi basta una perdita, un’infiltrazione nel terreno, che si genera una frana».

Sono situazioni di rischio che vanno evitate anche perché le caratteristiche di tenuta di un terreno sono condizionate da una serie di variabili, come la pendenza, la permeabilità, la composizione più o meno argillosa. Questo dovrebbe consigliare maggiore prudenza nell’uso del territorio».

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