Ci aveva visto lontano il grande Proust quando, alle prese con la terza sezione di Dalla parte di Swann, libro che apre la sua Ricerca, decise di intitolarla «Nom de pays», Nomi di paesi: le denominazioni dei luoghi sarebbero al principio di una sorta di eccitazione della fantasia e della memoria. Di una ricerca che si fa veicolo di appropriazione culturale e, ancor prima, riconoscimento esistenziale. Principi simili a quelli che oggi, un secolo più tardi e a tutt'altra latitudine rispetto alla vecchia Combray, in Normandia, hanno animato un gruppo di studiosi raccoltosi intorno ad Andrea Rognoni, direttore del Centro delle Culture Lombarde, per dare vita al bel volume Toponomastica della Lombardia, edito da Mursia e già diventato un piccolo caso editoriale. Appena presentato nella splendida Villa Recalcati di Varese, il libro è già andato esaurito, tanto da rendere necessaria una ristampa in tutta fretta. Un interesse che si spiega in tanti modi: il desiderio di saperne di più sulle proprie origini, il fascino proustiano di epoche passate che solo certi suoni, certe suggestioni riescono ad evocare, ma anche la voglia di affrontare in modo più consapevole un futuro all'insegna del «glocale», in cui la dimensione planetaria e la necessaria cura della nostra Heimat, piccola patria, si incontreranno in un inedito mélange. «Il recupero delle proprie radici geografiche - dice Rognoni - è necessario per riconoscere il nuovo ruolo del territorio rispetto all'interezza del pianeta». Era dal 1931, anno della prima edizione del Dizionario di toponomastica lombarda di Dante Olivieri (poi variamente ristampato fino agli anni Sessanta), che in Lombardia mancava uno studio di riferimento. Tanto più che l'opera di Olivieri risentiva del clima di rinnovato nazionalismo ed esaltava il sostrato latino ridimensionando ingiustamente l'apporto gallico e germanico. Cinque, in effetti, sono le sedimentazioni linguistiche alla base della maggior parte dei nomi di luoghi lombardi: preindoeuropea, celtica, latina, germanica o medievale, recente. Testimonianza della pluralità culturale che caratterizza la nostra area, in cui le specificità toponomastiche sono davvero tante, così come le curiosità e le questioni ancora aperte: è il caso dei suffissi caratteristici come -ate (tipici del Varesotto e del Comasco), su cui negli anni sono state avanzate innumerevoli possibili spiegazioni, e che sembrano derivare da un antico sostrato preromano; ma anche delle formazioni in -ago, forse corrispettivo gallico del latino -ano, con funzione prediale, ossia di definire il territorio dal nome di un antico proprietario del fondo. Ancor più intricato il caso dei nomi in -onno, numerosi ma forse tra loro nemmeno imparentati. Curiosità locale i cosiddetti «raddoppiamenti», ossia nomi con significato ripetuto: il caso più conosciuto è quello di Busto Arsizio, letteralmente «bruciato e arsiccio», che forse sta per «bruciato due volte». Il libro, tutt'altro che accademico, naviga lontano dallo schematismo arido e classificatorio di certi dizionari specialistici: qui il territorio diventa narrazione. A ogni esperto è affidata una provincia, e particolare attenzione è riservata ai nomi dei monti (oronimi) e dei corsi d'acqua (idronimi).
Tutto ciò senza sconfinare nella presunzione di avere per ogni problema una risposta univoca ed inappellabile: la toponomastica, si sa, non è una scienza esatta, ma una disciplina umanistica in cui ci si muove per ipotesi e congetture. D'altro canto, è uno strumento unico per fotografare le stratificazioni culturali di un mondo che cambia. E che ci invita a rintracciare il nostro tempo perduto per viaggiare più sicuri verso quello che verrà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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