Terrorismo, c’erano altri «martiri di Allah» pronti a colpire

Mohamed Imbaeya Israfel, il 33enne libico complice del connazionale Mohamed Game nell’attentato del 12 ottobre scorso, ieri mattina ha tentato di togliersi la vita nella sua cella del carcere di Bergamo, legando le lenzuola alle sbarre: è stato salvato in extremis.
Da lui neanche una parola sulle conclusioni a cui ormai sono giunti gli inquirenti dopo gli interrogatori e l’analisi del materiale informatico e delle sostanze ritrovate nel covo di via Gulli. E cioè sui proseliti fatti a Milano da lui stesso e Game (e in parte anche dall’egiziano Hady Abdelaziz Mahoud Kol) nel breve periodo di azione della cellula in città.
Si tratta di soggetti non coinvolti direttamente nella realizzazione dell’attentato, i cui nomi vengono indicati con codici. Uomini di fede islamica, integrati o semi integrati nel tessuto cittadino, incensurati, di basso profilo, sconosciuti, numeri.

Ma pronti, consenzienti ad essere immolati alla crociata contro l’Occidente e i suoi simboli. E ad scoltare i suggerimenti di vita e di comportamento del «buon servitore fedele di Allah» in terra straniera redatte da Game e Israfel. Personaggi che, in molti casi, hanno già lasciato l’Italia.

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