Flotilla, Hamas e la contraddizione degli aiuti umanitari

Flotilla, Hamas e la contraddizione degli aiuti umanitari
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Negli ultimi giorni si è parlato molto della cosiddetta Flotilla diretta verso Gaza, una missione presentata come iniziativa umanitaria a sostegno della popolazione palestinese. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, dietro l’operazione potrebbe esserci anche il nome di Amun, indicato da fonti come possibile sostenitore della spedizione. Qualora tale ipotesi fosse confermata, si aprirebbero scenari delicati, perché si tratterebbe di un sostegno economico a un progetto che, sotto la veste umanitaria, potrebbe perseguire finalità anche politiche.

Il popolo palestinese riceve già quotidianamente beni alimentari, sanitari e di prima necessità non solo da Israele, ma anche da numerosi Paesi occidentali e da organizzazioni internazionali. Tuttavia, secondo osservatori e inchieste pubblicate da agenzie come Reuters, The Guardian e The Times of Israel, una parte di questi aiuti sarebbe stata talvolta ostacolata o rallentata da Hamas, con il rischio che non raggiungessero pienamente le famiglie civili che ne avrebbero estremo bisogno. Se questi episodi corrispondessero al vero, si tratterebbe di una circostanza gravissima, poiché significherebbe sottrarre beni vitali alla popolazione più vulnerabile.

Resta evidente un nodo centrale: finché Hamas continuerà ad avere radicamento nei Territori palestinesi, sarà difficile immaginare la nascita di una Palestina davvero libera e democratica. È complicato parlare di Stato indipendente quando, al suo interno, opera un gruppo armato che ha spesso dichiarato come obiettivo quello di colpire Israele. In questo modo, chi afferma di combattere per la liberazione del proprio popolo finisce, secondo molte denunce, per limitarne le prospettive, trattenendolo in una condizione di ostaggio.

Israele, dal canto suo, dichiara di garantire l’ingresso quotidiano di beni di prima necessità verso Gaza e di voler liberare i palestinesi dal dominio dei radicalismi. Un’affermazione che va letta dentro il contesto di un conflitto pluridecennale, ma che richiama un principio universale: la pace e la democrazia non possono nascere laddove dominano violenza e odio.

Solo l’eliminazione delle logiche terroristiche e l’apertura a un percorso autenticamente democratico potranno restituire al popolo palestinese la speranza di una vita dignitosa, libera e pacifica. Allo stesso tempo, al popolo israeliano spetterebbe finalmente il diritto di vivere senza il timore quotidiano, dopo decenni di attacchi e persecuzioni.

La vera sfida, oggi, non è solo politica o militare: è umana. La pace non si costruisce con i muri o con le armi, ma con il coraggio di guardare l’altro negli occhi e riconoscerlo come uomo, donna, bambino. Ogni vita salvata è una vittoria, ogni mano tesa è un mattone in più per il futuro.

Che sia il popolo palestinese o il popolo israeliano, entrambi hanno diritto alla stessa cosa: vivere senza paura, crescere i propri figli in serenità e coltivare la speranza.

Questa si chiama democrazia. Questa si chiama libertà dei popoli. E questa, più di tutto, si chiama vita.

Ma tutto questo sarà possibile soltanto se la minaccia terroristica di Hamas verrà definitivamente cancellata.

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