RomaÈ tutta una questione di numeri. Tra circa 40 ore, dopo la 51esima fiducia strappata lo scorso 14 ottobre, si vivrà unaltra giornata al cardiopalma col pallottoliere in mano. Lultima volta fu un estenuante stillicidio, prima chiama, seconda chiama, fiato sospeso per ore e poi lesito finale: 316 sì e 301 no. Governo salvo, seppur per il rotto della cuffia, e premier sorridente: «Il nuovo agguato è fallito, abbiamo solo assistito a una vergognosa pagina di parlamentarismo becero dellopposizione che ha ancora sbagliato i calcoli», brindò il Cavaliere. Ecco, i calcoli.
In queste ore si fanno e rifanno i conti alla luce degli ultimi sviluppi politici e dei relativi traslochi. I 316 dellultima fiducia agguantata a Montecitorio, si otterranno anche martedì prossimo, quando alla Camera planerà il provvedimento sul Rendiconto generale dello Stato? Tutti giurano di sì sottolineando, tuttavia, che i veri problemi arriveranno dopo. Perché le incognite reali riguarderanno le settimane e i giorni successivi, tra il 15 e il 20 novembre. Quando, cioè, si dovrà votare sulla legge di stabilità e sul maxiemendamento che recepisce alcune misure della celebre lettera della Bce. Ma vediamo nel dettaglio i numeri: ai 316 di allora vanno senzaltro tolti i due fuggiaschi dal Pdl, Ida DIppolito e Alessio Bonciani, che hanno trovato riparo sotto le tende di Casini. 314, quindi. Ma allepoca non votò lonorevole pugliese Pietro Franzoso, deceduto venerdì scorso e rimpiazzato con Luca DAlessandro. Quindi 315. E poi lincognita Alfonso Papa: lo scorso 14 ottobre il deputato era rinchiuso a Poggioreale ma oggi è ai domiciliari. Qualora il giudice gli permettesse di andare in Parlamento a votare (ipotesi per nulla scontata) lasticella tornerebbe a quota 316.
Ma attenzione: il plotone degli indecisi singrossa. Sei sono i firmatari della famosa lettera recapitata a Berlusconi con cui si diceva che questa maggioranza non poteva più reggere: Giustina Destro, Fabio Gava, Roberto Antonione, Isabella Bertolini, Giancarlo Pittelli e Giorgio Stracquadanio. Di questi, due (Destro e Gava) già in ottobre non votarono la fiducia. Ma gli altri quattro? Qualora decidessero per il pollice verso, il risultato finale potrebbe ripiombare a quota a una pericolosissima quota 311. Ma cè chi giura che lo smottamento della maggioranza non riguarderebbe soltanto i sei pidiellini che si sono maggiormente esposti in queste ore. I malpancisti in sonno sarebbero dozzine.
E poi cè quella zona grigia del gruppo misto: tre di loro, Amerigo Porfidia, Elio Belcastro, Arturo Iannaccone, hanno da poco fatto le valigie da Popolo e Territorio per formare un sottogruppo autonomo. I tre giurano che non faranno mancare il loro appoggio al Cavaliere ma cercano sponde con gli «arancioni» di Miccichè, pattuglia che ha nel proprio dna quello di ritagliarsi sempre maggiore autonomia. E poi Luciano Sardelli, Antonino Milo e il sottosegretario Vincenzo Scotti, anchessi firmatari di una lettera in cui hanno chiesto a Berlusconi un passo indietro. Di questi tre, Sardelli non votò neppure la fiducia il 14 ottobre mentre Antonio Milo (assieme al collega Michele Pisacane) venne convinto allultimo secondo proprio da una telefonata in persona del premier a votare «sì». Scotti, invece, pur essendo sottosegretario non è parlamentare e non vota.
Poi, per le votazioni future, restano in piedi le trattative con la pattuglia dei sei Radicali, in rotta di collisione col Pd. A sentir loro sarà ancora «niet» ma ambienti pidiellini confermano: «Il dialogo non sè mai interrotto».
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