Cè da credere a Carlo Micheli. Con il padre, Francesco e con Silvio Scaglia (oggi in galera) hanno fondato Fastweb, tanto da averne il 45% a testa. Carlo è poi diventato consigliere di amministrazione della società, vicepresidente e numero uno del comitato di Controllo dal 2003. Dice Carlo in un verbale di assunzione di informazioni rese poche settimane fa alla procura di Roma: «La determinazione così ambiziosa degli obiettivi di bilancio della società è sempre stata espressione della volontà di Scaglia che non ne parlava con me e con gli altri appartenenti al cda». E continua, riferito a Scaglia, «era una persona che insisteva sugli aspetti etici delle cose, nel tempo lho visto progressivamente cambiare e fare delle cose che non mi hanno convinto. Scaglia aumentava lo stipendio a tutti coloro che gli dicevano di sì e anche Parisi ha beneficiato di questa politica. Io ovviamente non ho avuto alcun aumento... Alla scadenza del contratto di leasing della macchina aziendale che avevo in uso e che non venne rinnovato, mi venne data una macchina usata». In effetti la famiglia Micheli rompe con Fastweb ed esce dal gruppo ne1 2005. Dal verbale appare chiaro che a Carlo Micheli quelle operazioni sulle carte prepagate (ma non solo) non erano mai garbate. «Il business delle carte aveva il difetto che da un lato acquistava sempre maggiore rilevanza sul fatturato e dallaltro bruciava cassa». Eppure nel medesimo verbale Carlo ricorda: «Non sono mai stato in grado di rendermi conto fino a che punto fossero o meno regolari anche perché tengo a precisare che io sono un ingegnere informatico». Cè qualcosa che non gira per il verso giusto. Chi scrive, quando Scaglia era in sella, ne ha dette di tutti i colori su quel manager: un finanziere, e in questo ha davvero ragione Micheli jr, che si è riempito la bocca di Etica, mentre faceva operazioni finanziarie spregiudicate. Famose le sue dichiarazioni al Financial Times di mantenere intatta la sua quota della società, per poi smentirsi solo dopo poco. Spregiudicate, abbiamo scritto nel passato, e non già illegali. Ma questa è unaltra storia. Ci sono oggi decine di persone che sono rinchiuse in galera, con accuse pesantissime. E qualcosa, dicevamo, nelle dichiarazioni rese da Carlo Micheli e nel conseguente comportamento dei pm non quadra.
Una per tutte. Il teorema dei pm è che Scaglia non poteva non sapere (della mafiosità delle società con cui faceva affari, per dirne una). Mentre per Carlo (giustamente diciamo noi) detto teorema non si applica nonostante fosse presidente del Comitato di controllo, consigliere di amministrazione e vicepresidente. Nel verbale del comitato Audit del 2003, solo per citarne uno, si legge: «Il comitato prende atto, anche alla luce della secondarietà del business, della regolarità delle attività in esame», riferendosi alle famose carte prepagate. Proprio a seguire le indicazioni di questo comitato, presieduto da Micheli, si deciderà però «onde evitare ogni possibile fraintendimento» di modificare loggetto sociale di Fastweb per prevedere esplicitamente lattività di commercializzazione «di servizi di terzi». Ci sono una miriade di questi documenti di cui il Giornale è in possesso. Si pensi al contratto di consulenza che Francesco Micheli ha stipulato al momento della sua uscita del gruppo. Che oltre a prevedere 600mila euro lanno, 60 ore di aereo privato, indicava in un preciso paragrafo i dettagli dellauto che Fastweb avrebbe dovuto fornire, compresa, oltre che di autista «gradito al signor Francesco Micheli», anche degli evidentemente indispensabili «pass relativi alle corsie cittadine preferenziali». Forse una compensazione per lauto usata che poi verrà rifilata a Carlo. Non cè una sola morale in questa vicenda. Ma la sensazione è che i magistrati abbiano adottato una favorevole (e corretta) analisi della posizione dei Micheli in tutta la questione Fastweb.
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