Testimonianze Lusso e violenza

Prima la denuncia di cinque amazzoni, che accusano il Colonnello e i suoi figli di averle violentate. Ieri è stata la volta della balia etiope di Hannibal, uno dei figli del raìs. La donna ha raccontato una storia raccapricciante: gettata in un angolo di casa come un cane, denutrita, costretta a dormire a terra, sul volto i segni inequivocabili dei maltrattamenti subiti, simili a torture. Di giorno in giorno e di ora in ora emergono storie sconcertanti sul comportamento del clan Gheddafi, alcune delle quali ancora tutte da verificare. Ma non è solo coi racconti che, passo dopo passo, viene infangata la memoria dell’uomo che ha retto col pugno di ferro le sorti della Libia per quarant’anni.
L’oltraggio alla famiglia più potente di Libia e a uno dei clan più influenti del mondo arriva anche nei gesti e nei simboli. Con la presa di Bab al Azizya si è consumata la fine (materiale e simbolica) del raìs e del suo regime. Ora il compound è diventato un luogo di pellegrinaggio e saccheggio per tutti coloro che intendono portare a casa un souvenir del regime. E lo stesso copione si sta ripetendo anche da un’altra parte: la residenza a Tripoli di un altro dei figli del raìs, Saif al Islam. All’interno si apre ancora una volta uno scorcio sulla vita lussuosa che la famiglia viveva nel Paese, tra superalcolici (proibiti in Libia) e vasche idromassaggio targate Jacuzzi. Il segno di come la ricchezza fosse concentrata nelle mani di pochi potenti, ma anche il segno che le regole potevano essere disattese da quegli stessi potenti.
Lusso sfrenato e angherie. Un copione che si è ripetuto quando un giornalista della Cnn è entrato nella residenza di Hannibal Gheddafi. Magnifica la vista sul mare, degna di una star di Hollywood la piscina, ben rifornita la cantina. Poi la scena più squallida: una donna con la testa e il volto coperto di ferite e croste. «Ho pensato che indossasse una sorta di cappello o qualcosa sul viso - ha spiegato Dan Rivers. La sua faccia era un orrendo patchwork». La moglie di Hannibal l’aveva punita, tre mesi fa. Aline (la moglie) aveva perso la pazienza, perché la figlia non smetteva di piangere e la balia si era rifiutata di picchiarla. «Mi portò in bagno - ha raccontato la vittima, Shweyga Mullah - mi legò le mani dietro la schiena e i piedi, mi tappò la bocca e poi cominciò a versarmi acqua bollente sulla testa». Shweyga, 30 anni, era arrivata un anno fa dall’Etiopia.

Nei primi sei mesi del suo impiego tutto andava bene, poi arrivarono le prime torture, delle quali sanno qualcosa i due domestici che tre anni fa denunciarono Hannibal e la moglie alla giustizia elvetica per maltrattamenti, con l’arresto temporaneo della coppia e la successiva crisi diplomatica tra Tripoli e Berna.

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